“O il killer di Gilberta la paga cara o ci pensiamo noi”: è l’urlo di tutta Italia
Dopo il dolore, la paura. La paura che l’assassino di Gilberta, l’insegnante di Sora barbaramente uccisa dopo un tentativo di violenza sessuale, in un modo o l’altro la faccia franca, riesca a godere di benefici o ci sia un modo di rendere leggera la pena, come accaduto più volte, troppe volte, con la scusa dell’infermità mentale o di qualche altro meccanismo giudiziario. «La famiglia Palleschi si aspetta giustizia perché un crimine troppo efferato per non essere perseguito con il massimo della pena», ha detto l’avvocato Massimiliano Contucci. «Il sentimento è questo, i familiari di Gilberta mi hanno chiesto che da questo processo ci sia il massimo della pena”.
La “minaccia” della vendetta
È un altro segnale, l’ennesimo, di sfiducia nei confronti di una giustizia che fa acqua da tutte le parti. Sfiducia nei confronti di toghe che spesso sono più spettacolari che concrete. Una percezione, questa, che si è diffusa a macchia d’olio nell’opinione pubblica: pirati della strada che – ubriachi o drogati – sono stati arrestati e poi, dopo pochissimo, sono usciti dalla galera. Autori di aggressioni che sono stati rimessi in libertà e sono tornati ad abitare nelle vicinanze della famiglia delle vittime. Sono tanti i casi, troppi. E questa sfiducia genera la tentazione della giustizia fai-da-te, come dimostrano le parole del fratello di Gilberta: «Vogliamo giustizia, vogliamo che questa persona paghi giustamente per quello che ha fatto». ha detto Roberto Palleschi, il fratello di Gilberta. «Se lui, per caso, non avrà una sentenza esemplare – ha aggiunto – gliela faremo noi». Non è vendetta, è dolore. E questo dolore va rispettato, al di là dei dibattiti buonisti e falsamente moralisti dei talk-show. Dolore che viene accentuato anche dalle parole del difensore del manovale accusato dell’omicidio di Gilberta: «L’ho trovato scosso ma tranquillo». In certi momenti il silenzio sarebbe la scelta migliore. Anche perché il manovale ha ammesso tutto.
La ricostruzione dei fatti
Il corpo di Gilberta Palleschi è stato ritrovato in località Carpello a Campoli Appennino, una manciata di chilometri da San Martino, a Broccostella, da dove lo scorso primo novembre la professoressa d’inglese era sparita nel nulla mentre faceva jogging. Il cadavere, in avanzato stato di decomposizione, era in un dirupo. Il muratore ha ricostruito quanto accaduto il giorno della scomparsa di Gilberta. Ha confessato di aver avvicinato la segretaria dell’Unicef Lazio e di averla aggredita per cercare di violentarla. Poi, davanti alla resistenza dell’insegnante l’avrebbe colpita,una volta finita a terra, con alcuni calci alla testa (l’uomo, da quanto emerso, calzava scarpe da lavoro). A quel punto l’ha caricata nel cofano della sua vettura portandola a Campoli Appennino. Lì, in località Carpello, come confermato anche dal suo avvocato, l’ha quindi gettata in un dirupo. Quando il corpo della donna è stato fermato dalla vegetazione, il muratore sarebbe sceso e avrebbe scaraventato una pietra di alcuni chili sulla nuca di Gilberta Palleschi, uccidendola.