Un’altra denuncia: «Rom in fila per le primarie Pd, vicino al campo di Buzzi»
In una piazza imbufalita, dietro ai palazzi del Laurentino 38, il commissario dei democratici romani, Matteo Orfini ha lanciato strali contro le correnti e i signori delle tessere all’interno del Pd capitolino. («I campi rom? Sorpresi per quello che accadeva nei campi rom? Noi in quei campi non ci andavamo più, eravamo troppo occupati nelle lotte di potere»). Eppure le polemiche sul racket delle tessere e dei rom in fila per votare alle primarie del centrosinistra per eleggere il candidato sindaco di Roma, (quelle che portarono poi Ignazio Marino a diventare primo cittadino) sono vecchie e risalgono al 2013 quando Cristiana Alicata scrisse su Facebook: «Le solite incredibili file di rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionatissimi di politica». Il Fatto Quotidiano ricorda che a quel tempo Alicata, membro della direzione nazionale del Partito democratico fu tacciata di razzismo perché lei, renziana, parteggiava per il candidato Gentiloni. Oggi quell’accusa, alla luce di quanto successo a Roma e dell’inchiesta Mafia Capitale, assume ancora più valore. «Ricordo – ha detto Alicata – di aver visto gruppi di rom accompagnati in fila ai seggi. Con un’indicazione sulla persona da votare».
I seggi attenzionati
Un seggio si trovava nell’ex XV municipio, zona Magliana–Portuense. «Vicino al campo nomadi di via Candoni», ha ricordato ancora Alicata. Una struttura che compare anche nelle carte su Mafia Capitale: in quell’accampamento, nel 2013, la cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi ottenne una commessa da 86mila euro per la bonifica dell’impianto fognario. Come scrive Il Fatto, non c’è nessuna prova che colleghi i rom in fila ai presunti tentativi della cupola di inquinare le primarie. Nell’ex VIII Municipio (Tor Bella Monaca–Torre Angela), ricorda il quotidiano, intervenne addirittura anche la polizia per sedare una lite tra militanti democratici. Alcune persone avevano visto un afflusso sospetto di immigrati al voto e avevano assistito a inequivocabili giri di denaro. Restano però tanti dubbi sulle tante le denunce di anomalie in diversi seggi fatte alla commissione di garanzia del Pd poi finite nel dimenticatoio.
Le denunce di Alicata
Cristiana Alicata allora denunciò: «Ho visto con i miei occhi, ma non ho le prove di chi fossero mandanti e beneficiari». I nomi, si legge nel quotidiano diretto da Antonio Padellaro, non li ha fatti nemmeno adesso. «Non li conosco – ha proseguito – e non voglio farli perché il tema non è individuale. La responsabilità è collettiva e appartiene all’intera dirigenza del Pd di questi ultimi anni». Allora non si allertò solo per i presunti voti di scambio: «Mi chiedo ancora come facessero certi eletti a tappezzare la città di manifesti abusivi, a organizzare cene elettorali pantagrueliche ed eventi da decine di migliaia di euro». Ora non lo dice, ma ce l’aveva con l’altro candidato sindaco, David Sassoli. «Scrissi a Epifani – si legge ancora – di commissariare il partito, con mesi di anticipo sui fatti. Ma non è cambiato nulla: gli stessi consiglieri che hanno assistito inermi agli scandali laziali della regione Lazio, a fine mandato li abbiamo candidati in Parlamento. Invece almeno l’80 per cento dei dirigenti del Pd di Roma dovrebbero essere mandati via».