Quindici anni fa ci lasciò Valensise, galantuomo della politica

20 Nov 2014 17:51 - di Antonio Pannullo

Sono già quindici anni che Raffaele Valensise, Lillo per i più intimi, ci ha lasciato. Ed è un vuoto incolmabile, perché sembra che fino a poco fa fosse ancora con noi, a essere di esempio, esortare, insegnarci ad affrontare il vento avverso. Da dove cominciare un suo ricordo? Forse dalla sua “calabresità”, poiché era originario di Polistena, laddove la Calabria non è terra di criminalità o peperoncini, ma di scuola giuridica, di signorilità, quella vera, di passioni forti e di uomini leali. E Raffale Valensise era tutto questo: appassionato, studioso, attivissimo, partì giovanissimo volontario per la guerra, fu preso prigioniero e finì in un campo di concentramento in Algeria. Tornato in patria, fu tra quelli che parteciparono alla creazione del Movimento Sociale Italiano, soprattutto nella sua Calabria.

Volontario nella Seconda Guerra Mondiale

Nato nel 1921, dopo la guerra era già avvocato penalista, e parallelamente alla sua professione praticava la politica, quella vera, attiva: fu consigliere comunale missino a Polistena, Reggio Calabria, Cosenza, Rosarno. Nel 1972, l’anno della grande affermazione della fiamma tricolore, entrò alla Camera dei deputati, eletto a furor di popolo dai suoi concittadini che ebbero in lui – per otto legislature – un rappresentante prestigioso, affidabile e un punto di riferimento. A detta di tutti: quando nel luglio 1998, un anno prima della morte, fu eletto come membro laico al Consiglio superiore della magistratura, e si dimise da deputato, alla Camera ci furono autentiche lacrime di commozione, e non solo da parte sua. L’allora presidente dell’aula, Luciano Violante, leggendo i risultati della votazione, disse di lui che era «un uomo che abbiamo apprezzato moltissimo. Sono certo che anche al Csm saprà mantenere la dignità e il prestigio fin qui dimostrati». Sì, perché quello che tutti i militanti missini di ieri ricordano è proprio quella sua grande umanità e competenza, coniugate però con un’altrettanto grande umiltà. Da vero signore, insomma. Lui riusciva – ed era uno dei pochi – a guardare gli esponenti della sinistra non come nemici, ma solo come persone che la pensavano in altro modo, nonostante il modo in cui il Msi allora era perseguitato, emarginato e ostracizzato. E poi aveva un altissimo senso dello Stato, a differenza di alcuni politici che sono venuti dopo di lui.

Capogruppo di An a Montecitorio

Nel Msi – e poi in Alleanza Nazionale – ha ricoperto praticamente tutti gli incarichi più delicati, da vicesegretario nazionale, sia con Almirante sia con Fini, a componente del Comitato centrale, della direzione nazionale, dell’esecutivo, a responsabile dei vari dipartimenti organizzativi del partito. Negli anni di Alleanza nazionale è stato capogruppo a Montecitorio. Lui ricordava con nostalgia però, in mezzo a tanti incarichi importanti, quegli anni dell’impegno nei Comuni calabresi, gli anni della sua giovinezza, anni in cui si combatteva veramente per qualcosa di pulito. Battaglia che sempre portato avanti da dovunque si trovasse: sia dai banchi della Camera che da quelli del tribunale, le sue riflessioni sulla criminalità e sulla cultura giuridica dell’Italia rimangono ancora oggi di insegnamento. A tutta la destra italiana – e a più generazioni di avvocati – Valensise ha insegnato tantissimo. Ma sempre con garbo.

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