Quarant’anni fa l’addio a Vittorio De Sica. Esordì con gli Almirante…

13 Nov 2014 9:06 - di Antonio Pannullo

Quarant’anni fa scompariva in un ospedale parigino a soli 73 anni una eccellenza italiana che il mondo ci invidia: Vittorio De Sica. Quasiasi definizione di lui parrebbe una mancanza di rispetto. Regista, sceneggiatore, attore, documentarista, cantante, padre del neorealismo? A lui forse piacerebbe profeta della “ciociarietà”… Ma lui fu molto, molto di più. Era nato in Ciociaria, a Sora, nel luglio del 1901 da Umberto e Teresa, entrambi di origine campana. «Vivevamo in una tragica e aristocratica povertà», ebbe a dire De Sica, che nel 1952 tributò al padre il film Umberto D. Nel 1914 la famiglia si trasferì dapprima a Napoli, poi a Firenze e infine a Roma, dove Vittorio intraprese gli studi ragioneria.

Primo attore nel 1930

Nel 1917 ottenne una piccolissima parte in un dimenticato film muto. Ma è importante perché fu l’inizio della sua inarrestabile carriera. Nel 1923 lavorò in teatro con la compagnia dell’attrice russa Tatiana Pavlova, per due anni. Nel 1925 si aggrega come secondo attore brillante alla compagna teatrale , prestigiosa all’epoca, di Italia Almirante, figlia di un ufficiale garibaldino, diretta da Luigi Almirante, zio dell’uomo politico Giorgio. Due anni dopo diventa secondo attor giovane nella compagnia Almirante-Tofano-Rissone. Si affermò immediatamente nel suo repertorio boulevardier senza mai scadere nella volgarità, cosa che un po’ diverrà il suo marchio di fabbrica. In quegli anni comparve in alcuni film diretti da Mario Almirante. Nel 1930, con Guido Salvini, divenne primo attore e iniziò il lancio verso il successo. Successo che ottenne negli anni Trenta in coppia con Melnati, coppia che fece furore ovunque a livello nazionale. Fu in quel periodo che un certo tipo di sorriso, ironico ma raffinato, fu chiamato semplicemente “alla De Sica”. Negli anni ruggenti era anche richiestissimo come attore: lavorò con i grandissimi dell’epoca, da Amedeo Nazzari ad Assia Noris, per dirne due soli. Di questi anni c’è un aneddoto molto divertente: nel 1937 interpretò Il signor Max (da non confondere col più famoso Il conte Max) di Mario Camerini, in cui De Sica doveva pronunciare qualche espressione in inglese, cosa malvista dal fascismo. Ma il Minculpop, come era allora chiamato, dette l’autorizzazione in un’ottica di autarchia anche linguistica, e le espressioni british utilizzate nel film erano più che altro di derisione nei confronti degli inglesi.

Blasetti e il neoralismo

Poi venne la guerra, e De Sica continuò a lavorare indefessamente, anche perché stava passando dal ruolo di attore eccelso (si calcola che alla fine della guerra avesse preso parte a qualcosa come 120 rappresentazioni) a quello di regista altrettanto eccelso. Insieme con Blasetti, anticipò il neorealismo italiano. Lavorò con i più grandi del tempo: Blasetti, Visconti, Saroyan, Camerini, Comencini, Zavattini e chi più ne ha più ne metta. Difficilmente un grandissimo attore diventa poi un grandissimo regista: ma a De Sica questo riuscì, grazie alle sue doti intrinseche che ne fecero sempre un fuoriclasse.  E poi cantava: cantava come solo un napoletano sa cantare. Anzi, come “nu’ cafone ‘e fora”, come lui stesso diceva, ossia quelli che non sono di Napoli ma che la amano come i napoletani. Celebre anche un suo duetto con Mina a Studio Uno. Ha interpretato centinaia di film, ne ha diretto una quarantina, ha vinti quattro premi Oscar (Sciuscià, Ladri di biciclette, Ieri, oggi e domani, il giardino dei Finzi-Contini) e infiniti altri riconoscimenti in tutto il mondo. Cos’altro dire? che si sposò due volte, con Giuditta Rissone nel 1937 e con Maria Mercader nel 1954, che era famosa la sua passione per il gioco, passione di cui non si vergognò mai ma sulla quale anzi scherzava. Che ebbe tre figli e una vita avventurosa e intensa. Era comunista, ha detto recentemente suo figlio Christian, anche lui grandissimo attore e regista, epperò il suo successo e il suo cammino li sviluppò durante il fascismo, che come è noto dette un impulso straordinario all’arte cinematografica. Lavorò con registi e attori fascisti, ma non fece mai politica, lui era appassionato di altro, voleva calcare la scena, inventare e raccontare storie, fino a diventare il più grande. Ma soprattutto, era un signore nato.

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