Fini: il centrodestra ha bisogno di un programma comune

29 Nov 2014 19:32 - di Aldo Di Lello

«Il centrodestra non ha un’identità programmatica». Per  ripartire, occorre capire che  «la gente non crede più alle alleanze contro, ma che servono alleanze per qualcosa». È un Gianfranco Fini molto attento ai contenuti, non all’immagine, della politica quello che interviene, a Napoli, all’assemblea campana di Libera Destra. «Non è un momento per comizi ma per ragionamenti». Parla di Europa e sovranità, della manovra economica di Renzi, del problema rifugiati, del Meridione, del modello di città. Su tutti questi temi non bisogna «confondere la propaganda con la politica». Il problema attuale del centrodestra è che «le quattro forze presenti in Parlamento hanno, di fronte a Renzi, quattro posizioni diverse». Manca un «minimo comune denominatore» programmatico.

Il compito della politica

Fini lascia a bocca asciutta tutti quei quei giornalisti che gli chiedono quali forze e candidati Libera Destra appoggerà  nelle prossime elezioni regionali. Non è al ceto politico che intende rivolgersi ma alla società. Lascia a bocca asciutta soprattutto quelli che vogliono sapere se intende fondare un nuovo partito. «L’Italia non ha bisogno di un’ennesima sigla». Questo non vuol dire che Libera Destra non faccia politica. «Il compito della politica è indicare una prospettiva. È la sostanza di quello che intendiamo fare nei prossimi mesi». L’associazione che ha fondato intende «individuare le energie che bisogna mettere in campo». E individuarle «partendo dal basso». Occorre il «censimento delle esperienze e delle intelligenze». Gli elettori delusi si possono riconquistare solo fornendo le risposte ai problemi della società italiana.

Una destra con cultura di governo

Alla destra, in particolare, Fini dice che «non possiamo urlare, come se fossimo stati sempre all’opposizione». Bisogna ricordare che «abbiamo governato». Questo significa che una «destra con cultura di governo deve saper fornire controproposte». Per quanto riguarda l’Europa, sottolinea che, per tutelare l’interesse nazionale, occorre accrescere e non diminuire le «quote di sovranità condivisa». L’uscita dall’euro sarebbe un «autogol» con «costi spaventosi» in termini di interessi del debito pubblico e  bolletta energetica. Bisogna piuttosto  battersi per una «politica fiscale comune». Allo stesso modo, sulla questione rifugiati  non si deve parlare alla «pancia» ma «denunciare il Trattato di Dublino III» quello che prevede di mantenere il migrante sul territorio del Paese in cui egli approda. Troppo comodo per Paesi come la Danimarca o l’Olanda. «I rifugiati li dobbiamo invece dividere nell’ambito dell’Unione europea». Per quanto poi riguarda il bonus degli 80 euro di Renzi, una destra che «incalza e propone» dovrebbe ricordare che i quasi 9 miliardi di costo di tale operazione potrebbero essere meglio utilizzati per la «riduzione delle tasse sulla casa, per il quoziente familiare e per l’Irap».

 

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