L’oratorio cambia look. E seduce più del muretto e della playstation

5 Set 2014 11:37 - di Priscilla Del Ninno

Fino a poco tempo fa le freddure sarcastiche non gradite venivano liquidate come gag da oratorio: come se quei centri d’accoglienza diocesani rappresentessaro il prototipo negativo tout court: quante volte, allo stesso Renzi, sono state rimproverate «battute da oratorio»? Oggi, invece, con una realtà scolastica sempre meno aggregante. Nella solitudine dell’auto-reclusione internetica. In era da abbrutimento da playstation e di tramonto della comitiva del muretto, la dimensione aggregante dell’oratorio conquista sempre maggiore terreno sociale. Tanto che, dati alla mano, quelle strutture fondate nel XVI secolo a Roma da San Filippo Neri, che raccontano un capitolo importante della storia della Chiesa, risultano declinate sempre più efficacemente alla realtà metropolitana, e non come luoghi di proselitismo, ma centri comunitari il cui motore immobile è l’accoglienza. E allora, dalle grandi città alle piccole realtà di più piccole zone di frontiera, ad oggi gli oratori risultano i luoghi d’incontro più frequentati e richiesti, oltre che diffusi e innestati a vari livelli sul territorio, con stime davvero soddisfacenti: si calcola che siano circa settemila gli istituti capaci di coinvolgere nelle loro poliedriche attività due milioni di ragazzi e bambini dai sei anni all’adolescenza, gestiti da circa trecentomila operatori volontari, sempre più spesso coordinati da figure laiche: in molti casi, infatti, l’oratorio senza sacerdote è una realtà assodata e praticata.

È una parte significativa del futuro del Paese, dunque, quella che si raduna negli oratori. Oratori che, dalla Locride alla Lombardia, da Scampia all’Umbria, passando ovviamente per la capitale e dintorni, puntano su formule di socializzazione capaci di mescolare alchemicamente tradizione e globalizzazione, fino alle evoluzioni laboratoriali di ultima generazione che molto sconfinano nella formazione studentesca e parauniversitaria. Non solo calcetto e catechesi, insomma: ma una dimensione multiforme sempre più al passo coi tempi e sempre più radicata nel contesto urbano, chamata ad ovviare alle carenze di un welfare anacronisticamente lontano dalle esigenze civiche quotidiane e sordo alle nuove necessità giovanili. Un presente, allora, quello dell’oratorio, vissuto come comunità sociale prima ancora che squisitamente ecclesiale, che racconta una nuova storia – culturale, assistenziale ed associativa – tutta da scrivere.

 

 

 

 

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