Le riforme di Renzi non convincono nessuno (neanche il Pd): tutti “contro” Del Rio

19 Set 2014 20:44 - di Guglielmo Federici

Sta cambiando veramente l’Italia come dice il premier Renzi un giorno sì e l’altro pure? Le riforme a cui si sta mettendo mano marcano davvero la salute della nostra democrazia? E si stanno realizzando nel verso giusto, nel verso che serve all’Italia, al bene comune? Ad Atreju dal dibattito coordinato da Giovanni Donzelli sono partiti questi quesiti per il sottosegretario Graziano Del Rio, per il senatore  Pd Corradino Mineo, per il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, per Raffaele Fitto e per Ignazio La Russa. Il sottosegretario del governo Renzi è stato subito messo sotto torchio sulla questione della legge elettorale e sulla presunta riforma delle provincie che lascia sostanzialmente intatto il “sistema” legato alle stesse. Attaccato politicamente da Fitto, La Russa e Sallusti, Del Rio ha difeso il senso di una riforma che secondo il governo segna una grande differenza rispetto al passato, snellendone le funzioni. Ma non ha potuto esporsi più di tanto in tema di legge elettorale, che per il centrodestra significa lottare fino allo stremo per la reintroduzione delle preferenze. Lo dice chiaro La Russa, lo ribadisce Fitto: «Si vota con le preferenze alle Regioni e ai Comuni, quindi gli italiani non capirebbero perché i parlamentari dovrebbero essere selezionati dalle segreterie dei partiti». Coerentemente con l’idea di una classe politica scelta dagli elettori, Fitto ribadisce come vi sia «la necessità anche all’interno del partito regole che possano selezionare in modo adeguato la classe dirigente», dice il più grande sponsor delle primarie all’interno di Forza Italia. La platea di Atreju apprezza.  Il dibattito si accende quando Sallusti mette poi il dito nella piaga: «Se si votasse ora questa legge elettorale, con questo premio di maggioranza Renzi governerebbe per i prossimi 20 anni e questo non va bene né a Forza Italia né al Pd». Il vero  problema di Renzi – sostiene il direttore del Giornale – è che all’interno del Pd un buona parte non ha alcuna voglia di consegnare il Paese a Renzi». Ecco il nodo dolente per l’avvio di vere riforme. Naturalmente Del Rio ribatte che Renzi non è affatto «ostaggio del Pd, visto il successo ottenuto proprio con l’istituì delle primarie». Ma la Russa incalza: «Grazie alla benevolenza di Forza Italia nei confronti del governo Renzi, il premier può superare i problemi interni al Pd perché tanto sa che nelle peggiore delle ipotesi potrà chiamare il mio amico Verdini per avere una mano. Come già accaduto e come sta accadendo anche in questi giorni». A proposito di dissenso interno, anche Mineo, come sappiamo, ha una posizione molto critica sull’operato riformista del governo: «Non voterò mai una legge elettorale pasticciata come quella che Renzi e Berlusconi stanno preparando».

Ulteriore spunto di riflessione pone Sallusti su una legge elettorale «miope, che parte dal presupposto che lo scacchiere politico rimanga sostanzialmente appiattito sugli schieramenti attuali,  senza considerare che un terremoto è in arrivo: il Pd si spaccherà e il centrodestra non si ricostruirà», sostiene. «E dalla esplosione di questi due grandi contenitori si apriranno spazi pazzeschi proprio per la destra italiana». Poi fa un invito ala platea di Atreju: «Fossi in FdI non mi preoccuperei delle soglie di sbarramento al 3 o al 4 %, ma gli direi di affrettarsi ad intercettare tutto un bacino di oltre il 10 per cento di elettori che si aprirà con la crisi del Pd e del centrodestra». Poi si passa alla riforma del lavoro annunciata da Renzi, che non convince nessuno, neanche Mineo, che parla chiaro: «Sulla riforma del lavoro non voterò la delega in bianco al governo. E dico di più: l’abolizione dell’Articolo 18 è feticcio ideologico di un governo in difficoltà che, non potendo dare nulla alle imprese che lavorano per il mercato interno, vuole dare loro lo scalpo simbolico degli operai». Dal canto suo Del Rio si mette in difesa: «Le discussioni aiutano a migliorarsi, l’importante è che non ci siano ultimatum o posizioni ideologiche. Abbiamo tutti l’ambizione di non ridurre i diritti e creare posti di lavoro», dice alla minoranza Pd. Certo è che le domande iniziali poste dal dibattito – sarà vero cambiamento ? Sapremo cogliere l’occasione ? – rimangono ancora senza un risposta. Anche perché rimane insoluta la domanda posta da La Russa: «Come mai in tutta questa frenesia di riforme e di cambiamento, si ha paura dell’elezione diretta del capo dello Stato, riforma gradita dalla maggior parte degli italiani?».

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