Franco Servello, una vita in prima linea per affermare gli ideali della destra
“Appartengo, come tutti sapete, a un movimento politico che è presente sulla scena pubblica fin dagli anni difficili del dopoguerra. Di questa formazione sono stato rappresentante nelle istituzioni già all’inizio degli anni Cinquanta, quando entrai nel Consiglio comunale di una Milano molto diversa da quella odierna. Ebbene, posso dire oggi di aver contribuito a costruire, nel tempo, la piena legittimazione istituzionale di questa famiglia. Insieme a tanti che oggi non ci sono più, ho lavorato affinché la destra si mantenesse, non solo, come è ovvio, dentro la legalità democratica, ma anche perché cessasse di rappresentare il polo escluso della politica italiana”. E’ questo uno dei passi più intensi del discorso di commiato al Parlamento tenuto da Franco Servello nell’aula del Senato il 28 febbraio del 2006. Si può leggere in queste parole gran parte del significato ideale e politico dell’azione di Servello e degli uomini di destra della sua generazione nella storia italiana della seconda metà del ‘900. C’è la difficoltà, il dramma, ma anche la grande spinta morale delle origini. C’è l’idea del movimento politico come comunità umana che attraversa la storia. C’è la volontà di conseguire palmo a palmo spazi politici in un’Italia in gran parte ostile (“la mia democrazia”, diceva Almirante, “me la sono conquistata sul campo”). C’è l’approdo finale: la legittimazione istituzionale, la caduta degli steccati, tutti risultati che uomini come Almirante e Romualdi non ebbero il tempo di vedere, ma che non sarebbero stati possibili senza la straordinaria prova di fede, di idealità, di coraggio offerta da quella generazione in decenni di battaglie politiche.
Franco Servello ha interpretato quella “lunga marcia” nell’Italia repubblicana sempre in prima linea: dalla rischiosa azione di costruzione politica nella Milano del dopoguerra alla lunga attività parlamentare, dall’alta responsabilità come vicesegretario vicario del Msi di Almirante al ruolo di presidente dell’ultimo congresso del Msi a Fiuggi, dalla funzione di amministratore del Secolo d’Italia alla carica di questore del Senato nella XIV legislatura. La sua vocazione speciale è stata il sostegno alla battaglia delle idee, soprattutto attraverso gli strumenti culturali ed editoriali. “Nel 1958 – ha scritto nella sua autobiografia 60 anni in fiamma – ero un giovane deputato di Milano alla sua prima legislatura. Entrai alla Camera con l’entusiasmo che solo può avere un parlamentare trentenne. Continuavo a dirigere un settimanale a diffusione nazionale molto attento alle novità dell’economia e della società”. Quel settimanale era Il Meridiano d’Italia, fondato nel 1946 dallo zio di Servello, Franco De Agazio, e di cui Servello stesso fu all’inizio il caporedattore, per poi assumerne la direzione quando, dopo l’uccisione del fondatore, nel marzo del 1947, per mano della Volante Rossa, il giovane giornalista decise che bisognava continuarne la battaglia, a costo di sfidare le bande armate comuniste che continuavano a seminare il terrore a Milano e dintorni (in quegli anni infuriava il famigerato “vento del Nord”). Vale la pena ricordare che era stato il Meridiano a denunciare il caso dell'”oro Dongo”, pubblicando una lunga inchiesta giornalistica che prendeva le mosse dalla scomparsa di Gianna e Neri, nomi di battaglia di due partigiani che secondo i vertici militari comunisti avevano visto quello che non avrebbero dovuto… vedere. Quella fu una esperienza cruciale nella formazione di Servello, che egli amava sempre ricordare come modello di un impegno politico inteso come missione, al servizio dell’Italia (di una certa idea dell’Italia) non meno che della destra.
Senza quel patrimonio ideale, unito alle doti personali di coraggio e coerenza morale, non si spiegherebbe come mai la comunità della destra sia riuscita a superare tante, durissime prove. Quelle affrontate dalla destra milanese, da Servello a lungo guidata, furono poi particolarmente impervie, tra minacce, aggressioni criminali (pensiamo al martirio di Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi) e tentativi di persecuzione giudiziaria, come quelli operati dalla Procura della Repubblica di Milano, su iniziativa dell’ex partigiano Luigi Bianchi D’Espinosa. Contro quelle aggressioni la destra di Almirante e di Servello sapeva contrapporre una visione alta della nazione, della pacificazione e dello Stato. “Ho sempre ritenuto – dice Servello nella sua già citata autobiografia- che il senso dello Stato debba sussistere anche quando lo Stato ti perseguita. Il senso dello Stato è innanzi tutto un valore interiorizzato. O lo si possiede o non lo si possiede”. E dire che Servello subì nel 1947 un arresto arbitrario e intimidatorio da parte della polizia ciellenista e che la sua richiesta di giustizia per l’assassinio di De Agazio trovò sempre un muro di gomma. Per tutta risposta arrivarono anzi minacce e attentati, tanto che il giovane direttore del Meridiano fu costretto a spostare, per qualche tempo, redazione e tipografia della rivista a Roma. Vale la pena anche ricordare che Servello dirigeva un gruppo di redattori e collaboratori di altissmo livello: sul Meridiano scriveva gente come Filippo Anfuso, Giorgio Almirante, Giorgio Pini, Carlo Costamagna, Edmondo Cione, Ezio Maria Gray, Piero Pisenti, Giorgio Pisanò, Ernesto Massi, Ugo Franzolin, Mario Tedeschi. Negli anni Settanta, Servello rinnovò la sua attenzione al mondo dei media attraverso la nascita, nel 1975, di Radio University a Milano. E per un soffio, qualche anno dopo, non riuscì a realizzare la nascita di un network tra le radio di destra nate nel frattempo in Italia ( a partire da Radio Alternativa, animata da Teodoro Buontempo a Roma). Sarebbe stata la prima esperienza del genere tra le radio politiche nel nostro Paese. Anche Almirante era d’accordo. Ma all’ultimo momento l’iniziativa fu vanificata dall’ opposizione di alcuni settori del partito (Servello non ha avuto sempre vita facile dentro il Msi, a partire dagli anni Cinquanta).
Franco Servello ha seguito fino alla fine tutte la fasi di trasformazione della destra. Nel 1995, oltre a presiedere l’ultimo congresso del Msi, pubblicò anche un pamphlet dal titolo Caro Fini , con l’intento di approfondire il dibattito politico-culturale in quella delicata fase di svolta. La fusione, nel 2009, di An nel Pdl non lo trovò particolarmente entusiasta (e dire che, a suo tempo, era stato lui a presentare Berlusconi ad Almirante e a Fini). Anche in quell’occasione volle dire la sua con un altro pamphlet dal titolo Cara Destra. In questi ultimi anni, la sua preoccupazione costante è stata rivolta alla necessità di salvaguardare gli ideali della destra.
Conservare la memoria del passato per guardare avanti: è questa la grande lezione di Servello. “Non mi permetto – si legge sempre in 60 anni in fiamma – di dare voti a me stesso. Mi pare, tuttavia, di poter dire di aver trascorso una vita difficile e talvolta quasi chiusa alla speranza di un futuro migliore, ma carica di ideali, di affetti e di rinnovate energie”. A coloro, come chi scrive, che hanno avuto l’onore di essere amici e di collaborare con Servello non resta che esprimere, in questo momento di dolore, una grande e struggente ringraziamento per tutto quello che egli ci ha insegnato e trasmesso. Un ringraziamento unito all’abbraccio più caloroso e partecipe alla moglie, signora Donatella, che lo ha sempre amorevolmente e validamente sostenuto in tutte le battaglie della sua vita.