Dieci anni fa se ne andava Marlon Brando, il più grande di tutti. Anche nella sfortuna
Aveva una Triumph Bonneville d’epoca, una Harley Davidson e un’isola in Polinesia, Tetiaroa, dove visse per anni insieme con la terza moglie, Tarita Teriipia. Parliano di Marlon Brando, una delle più grandi star di Hollywood, inteprete di film che sono entrati di prepotenza nell’immaginario collettivo di almeno quattro generazioni di spettatori. È morto dieci anni fa in California, per un’insufficienza respiratoria, ma i suoi lavori vengono continuamente ritrasmessi da tutte le tv del mondo. Il suo periodo d’oro furono certamente gli anni Cinquanta, quando uscirono nelle sale “Un tram che si chiama desiderio” (1951) di Elia Kazan, “Viva Zapata” (1952)sempre di Kazan, “Giulio Cesare” (1953) di Joseph Mankiewicz, poi, nel 1954, “Il Selvaggio”, di Laszlo Benedek, che ebbe un successo straordinario, tanto che dopo la sua uscita le vendite di giubbotti neri da moto e di jeans schizzarono alle stelle. Film dalla trama esile, non amato nemmeno dallo stesso Brando, tuttavia ebbe una notevole influenza nel costume soprattutto dei giovani che iniziavano giusto in quegli anni ad essere “ribelli”, come ribelle fu sempre Marlon Brando in tutta la sua vita. Dell’anno successivo sono poi “Fronte del porto”, sempre di Kazan e “Desirée”, di Henry Koster. Seguirono, e ormai Brando era già diventato un’icona, “Bulli e pupe” (1955) sempre di Mankiewicz, “La casa da tè alla luna d’agosto” (1956) di Daniel Mann, “Sayonara” (1957) di Joshua Logan, e il bellissimo e malinconico “I giovani leoni” (1958) di Edward Dmytryk, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, una delle migliori interpretazioni dell’attore. Chiude il decennio d’oro di Brando “Pelle di serpente” (1959) di Sidney Lumet. In tutto ha interpretato una quarantina di film, metà dei quali sono certamente dei capolavori. Negli anni Sessanta ci sono “Gli ammuntinati del Bounty” di Lewis Milestone, “La contessa di Hong Kong di Charlie Chaplin, “Riflessi in un occhio d’oro” di John Houston e tanti altri. Fino ad arrivare al 1972, quando intepreta due monumenti del cinema mondiale, “Il Padrino”, di Francis Ford Coppola e “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci. Del 1979 è invece l’ultimo lavoro in cui ebbe una parte significativa, “Apocalypse now”, sempre di Coppola, che è probabilmente uno dei più celebri film, se non il più celebre, sulla guerra del Vietnam. Ebbe anche parti-cameo in vari film, pagati sempre con cachet altissimi. Inifiniti i riconoscimenti a questo grande, tra cui spiccano i due Oscar come miglior attore protagonista per “Fronte del porto” e “Il Padrino” e altre sei nomination, poi cinque Golden Globe di cui ben tre come miglior attore del mondo, oltre a cinque nomination e un Emmy Awards. Tutto meritato, perché Marlon Brando, oltre a essere un grande artista, era anche un uomo che si impegnava in temi sociali importanti, tra tutti spicca l’episodio del 1973, quando mandò alla cerimonia degli Oscar al posto suo una donna indiana per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulle discriminazioni nei confronti dei nativi americani. Ma non solo. Artisti come Elton John, David Bowie, i R.E.M., il nostro Luciano Ligabue, la Pfm e altri gli hanno dedicato una canzone o dei versi. Come contraltare, ebbe un’esistenza difficile, drammatica, finita tragicamente in povertà e con un fisico – che aveva attirato le più belle donne del mondo – obeso e malato. Non aveva neanche più soldi, a quanto pare. una figlia, Cheyenne, si suicidò e un altro, Christian, acusato di omicidio. Tre mogli, infinite relazioni, e moltissimi figli, tra cui anche qualcuno adottato. Insomma troppe donne, processi e alimenti a ex moglie ad amanti. Due anni prima della sua morte una ex cameriera, Maria Christina Ruiz, gli aveva fatto causa per 100 milioni di dollari sostenendo di essere la madre di tre suoi figli (l’attore ne avrebbe avuti cinque da tre mogli legittime e almeno sei da amanti varie sparse in tutto il mondo) e di convivere con lui da 14 anni. Pur di non pagare, il divo aveva esibito in tribunale la denuncia dei redditi da cui risultava una pensione da seimila dollari al mese integrata da un assegno mensile della sussistenza sociale da 1.856 dollari. Per sopravvivere, il vecchio leone che aveva rifiutato l’Oscar e aveva sparato a zero contro la lobby ebraica di Hollywood, si era adattato a prestare la sua voce a spot pubblicitari. Secondo alcune fonti, negli ultimi anni dormiva con la bombola dell’ossigeno accanto al letto. A dieci anni dalla scomparsa, Castelvecchi manda in libreria “Marlon Brando – Una tragedia americana”, in cui Goffredo Fofi racconta l’attore attraverso tutti i personaggi che ha interpretato.