Scandali e mazzette, l’Italia precipita nella classifica degli investimenti esteri
L’Italia è sempre meno capace di attrarre capitali esteri, che dall’inizio della crisi ad oggi si sono più che dimezzati. E la causa è la cattiva reputazione accumulata negli anni per corruzione diffusa, scandali politici e lungaggini burocratiche. A denunciarlo è il Censis, che mette in luce le debolezze del nostro Paese che, pur restando la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito. Negli ultimi sei anni gli investimenti diretti esteri in Italia sono crollati: nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi di euro, il 58% in meno rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi, evidenzia il Censis nel sesto numero del “Diario della transizione”. I momenti peggiori sono stati il 2008, l’anno della fuga dei capitali, in cui i disinvestimenti hanno superato i nuovi investimenti stranieri, e il 2012, l’anno della crisi del debito pubblico.
La crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata, ma l’Italia si distingue per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri: il Belpaese, infatti, osserva il Censis, “ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti”. Con il risultato che l’Italia si piazza al 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese (procedure, tempi e costi per avviare un’impresa, ottenere permessi di costruzione, risolvere controversie giudiziarie): per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, 97 in Germania. In tutta l’Europa solo Grecia, Romania e Repubblica Ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre. E come se non bastasse, in Italia la crisi ha colpito anche il lavoro nero, che è stato messo in difficoltà dal “fai da te”. Lo sostiene la Cgia di Mestre, secondo cui i posti di lavoro irregolari persi tra il 2007 e il 2012 ammontano a oltre 106.000 unità. «La crisi ha tagliato drasticamente la disponibilità di spesa delle famiglie italiane – segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – Pertanto, anche per le piccole manutenzioni, per i lavori di giardinaggio o per le riparazioni domestiche non si ricorre nemmeno più al dopolavorista o all’abusivo. Questi piccoli lavori o non vengono più eseguiti, oppure si sbrigano in casa».