Nessuno ha accolto gli azzurri. Nel ’66 furono invece pomodorate. Perché gli italiani non s’arrabbiano più?
Davvero mesto il rientro in Italia degli azzurri reduci dal disastro brasialiano. All’aeroporto di Fiumicino non c’era nessuno ad attenderli, a parte un bambino con la bandiera tricolore arrotolata che si è subito allontanato con il padre. L’unica, chiamiamola così, accoglienza è stata riservata solo da un gruppetto di lavoratori aeroportuali: qualche foto, qualche applauso a De Rossi e Candreva (ma solo in virtù dell’appartenenza, rispettivamente, al club della Roma e a quello della Lazio). Per il resto, il deserto dei tartari. I tifosi italiani hanno decretato la solitudine per gli ammaccati moschettieri di Prandelli. Neanche un fischio, neanche una invettiva. Solo un fragoroso silenzio. Questa indifferenza è, a suo modo, un segno dei tempi. Dà l’idea di un Paese che non si arrabbia più, che non reagisce, che non si indigna, che assiste fatalisticamente alla “morte” del calcio. E sì, perché di questo si tratta. La disfatta di Natal è lo specchio del “male oscuro” che affligge il gioco più amato dagli italiani. È lo specchio degli stadi vuoti per la paura della violenza, lo specchio degli scandali, dell’enorme giro d’affari della scommesse clandestine, dell’overdose di chiacchiere che drammatizzano spesso il nulla. «Gli italiani – disse Churchill –perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio». Ma oggi l’Italia è stanca: ha perso la “guerra” dei mondiali 2014 e non sembra importagliene nulla. Un segno dei tempi, appunto.
Torna alla memoria un’altra brutta esperienza nella storia della Nazionale italiana, quella che è ancora ricordata come la pagina più umiliante per il nostro calcio: l’eliminazione dai mondiali del 1966 in Inghilterra a seguito della sconfitta con la Corea del Nord, sconfitta per mano del calciatore-dentista Pak Doo Ik (che è a lungo comparso negli incubi degli italiani, allo stesso modo in cui, in questi giorni, vi compaiono “hannibal” Suarez e “dracula” Rodriguez Moreno). Allora però l’accoglienza dei tifosi italiani per gli azzurri sconfitti fu assai più fragorosa e vivace. Fiutando una brutta aria, i dirigenti federali pensarono bene di far rientrare i calciatori di notte. Ma non servì a nulla. Ad attenderli all’aeroporto di Genova c’erano seicento tifosi armati di pomodori. Gli azzurri finirono sotto un diluvio di ortaggi. Il più bersagliato fu il ct Edmondo Fabbri. Il fatto è che gli italiani allora si arrabbiavano. Però agli stadi ci si poteva andare con la famiglia. Non c’era violenza. Le scommesse clandestine erano un fenomeno limitato. I bambini crescevano collezionando le figurine dei calcatori. Due anni dopo, nel 1968, la Nazionale italiana vinse i campionati europei ( e rimane l’unica volta nella sua storia). Quattro anni dopo, nei mondiali del 1970 in Messico, gli azzurri riuscirono a disputare la finalissima. Persero male con il Brasile di Pelè, ma entrarono egualmente nella leggenda per via dell’epica semifinale con la Germania. Arrabbiarsi serve a qualcosa. Ogni tanto.