Due ergastoli per l’omicidio della Politkovskaia. Ma non c’è nessuna prova sulle responsabilità di Putin

9 Giu 2014 20:29 - di Redazione

Dure condanne per tutti gli imputati e due ergastoli. Si è concluso così il terzo processo per l’omicidio della giornalista russa di opposizione Anna Politkovskaia, freddata a colpi di pistola il 7 ottobre di otto anni fa nell’ascensore dell’edificio di Mosca in cui abitava. Ma nonostante la sentenza di oggi, non è ancora stata fatta piena luce sull’omicidio di una reporter estremamente “scomoda” per il Cremlino, e gli investigatori devono ancora individuare il mandante, o i mandanti, dell’omicidio. Il giudice Pavel Melekhin ha condannato al carcere a vita il presunto killer Rustam Makhmudov e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, accusato di essere l’organizzatore del delitto. Entrambi sono ceceni, così come i fratelli di Rustam Makhmudov, Dzhabrail e Ibraghim, indicati come complici per aver pedinato la vittima e avvertito il killer del suo arrivo, e che sono stati condannati rispettivamente a 14 e 12 anni di reclusione. Dovrà restare invece in carcere per vent’anni l’ex dirigente della polizia moscovita Serghiei Khadzhikurbanov, un altro presunto organizzatore del delitto. Si tratta di pene un po’ meno severe di quelle a cui puntava la pubblica accusa, che oltre ai due ergastoli aveva chiesto condanne da 15 ai 22 anni per gli altri imputati, ma i cinque condannati continuano a respingere ogni accusa e durante la lettura della sentenza non si sono alzati in segno di protesta. Mentre l’avvocato della difesa ha già annunciato ricorso in appello. Il giudice ha invece soddisfatto la richiesta dei familiari della Politkovskaia di un risarcimento da cinque milioni di rubli (poco più di 100.000 euro). In ogni caso resta da capire chi ha voluto e ordinato la morte della Politkovskaia, una giornalista sempre pronta a denunciare la deriva autoritaria del governo di Vladimir Putin e i gli abusi commessi dalle forze russe in Cecenia. Subito dopo la sentenza, uno dei figli della reporter, Ilià, ha sottolineato che “la cosa più importante” è proprio trovare il mandante dell’assassinio, e che finché questo aspetto fondamentale non sarà chiarito non potrà mai dirsi “soddisfatto”.

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