In India vincono induisti e nazionalisti. Dalle caute aperture di Modi una speranza per i nostri Marò
Inciderà in termini postivi sulla vicenda dei Marò il cambio di governo che ormai si profila in India? La domanda è d’obbligo. La risposta tutt’altro che scontata. Anche se molti elementi lascerebbero pensare ad una svolta positiva, che metta fine ad una storia che ha dell’incredibile, per come si è dipanata, e che appare indecente per l’atteggiamento poco efficace, remissivo e sconclusionato adottato dalle autorità italiane.
Procediamo con ordine. Partiamo dalla situazione politica indiana. Conosceremo venerdì l’esito delle votazioni. Stando agli exit poll, Narendra Modi si avvia a diventare il primo ministro, scalzando il partito del Congresso e mandando in soffitta la dinastia dei Gandhi. Il Bjp, di cui Modi è leader incontrastato, secondo i calcoli, avrebbe conquistato la maggioranza assoluta e vinto in tutti i gruppi etnici e sociali, esclusi i musulmani. Un risultato atteso che, tra i giovani, ha raggiunto livelli clamorosi. Induista e nazionalista, l’uomo nuovo di Delhi, che da bambino vendeva il thé sui treni, ha costruito il successo stringendo una forte alleanza con gli ambienti finanziari e industriali che possiedono le maggiori testate giornalistiche e le reti televisive più seguite. Si tratta degli ambienti che, più di altri, hanno fortemente osteggiato la politica economica del governo uscente e contestato l’indecisione del principe Rahul Gandhi nel prendere in mano le redini dell’esecutivo, dopo che la coalizione guidata da sua madre, Sonia, aveva portato ad un netto calo della crescita, precipitata dal 10 al 5 per cento, all’aumento dei prezzi e inanellato una serie di scandali, mostrando il volto inquietante di una corruzione diffusa e tentacolare.
E’ bastato abbassare i toni ultrareligiosi e solleticare il palato liberista degli ambienti finanziari, per consentire a Modi di far dimenticare un passato violento, da oltranzista antimusulmano. Il leader del Bjp è ritenuto responsabile della carneficina di 12 anni fa ad Amedabad, che causò oltre mille morti. Per le rivolte sanguinose del 2002 è tuttora considerato “persona non gradita” a livello internazionale. Detto questo, ed è solo una parte della complessa e non facilmente interpretabile situazione politica indiana, resta aperta la domanda iniziale. Come si comporterà Modi con i nostri Marò ? Secondo alcuni osservatori, una volta terminata la campagna elettorale e dissipate le scorie di una contesa che ha toccato, come era prevedibile, anche il tema dei due nostri militari trattenuti da due anni in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori del Kerala, sarà possibile riprendere la trattativa. In verità, Modi aveva lasciato trapelare una certa apertura sulla vicenda , mostrando una certa preoccupazione per eventuali ripercussioni che il caso avrebbe potuto comportare sul piano degli affari e degli interessi del suo Paese a non vedersi privare di considerevoli investimenti stranieri, a partire da quelli delle imprese italiane. E’ presto per dire se queste intenzioni, manifestate in qualche rara intervista pre-elettorale, avranno un seguito. C’è da sperarlo. Una cosa, però, ci sembra di poter condividere con Stefano Silvestri, analista e consulente strategico di molti governi italiani: il fatto che il ricorso all’arbitrato per ottenere che il processo si svolga in Italia, ” è un dettaglio di legge” e non ci conviene. Converrebbe molto di più un vero e proprio negoziato, sostenuto dall’Onu e dall’Europa. Purtroppo, finora i governi che hanno armeggiato la questione hanno solo infilzato una serie infinita di figuracce. E pestato i piedi nel mortaio.