Dell’Utri, dopo la condanna della Cassazione sarà battaglia legale sull’asse Beirut-Strasburgo
Sarà l’esito di un braccio di ferro giuridico-regolamentare che si giocherà fra l’Italia, il Libano e Strasburgo a stabilire se Marcello Dell’Utri sconterà nelle carceri italiane la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa confermata ieri a tarda sera dai magistrati della Corte di Cassazione. All’orizzonte già si profilano quelle che saranno le strategie difensive dei legali del senatore di Forza Italia e quelle che potrebbero essere le contromosse della giustizia italiana.
L’avvocato libanese di Dell’Utri, Akram Azoury, che ha presentato al Procuratore generale libanese, Samir Hammoud, la richiesta di remissione in libertà per il fondatore di Forza Italia, è convintissimo delle sue ragioni: il senatore, oggi trattenuto a Beirut dove si trova ricoverato in ospedale, dovrà essere rilasciato perché la richiesta di arresto inoltrata il 12 aprile dalla Procura di Palermo paventando il pericolo di fuga «ha violato l’articolo 20, punto C, del Trattato» di estradizione siglato fra Roma e Beirut, Trattato «secondo il quale non può essere concessa l’estradizione per reati prescritti in uno dei due Stati».
Ma non c’è solo questo aspetto a rendere problematica l’estradizione pur in presenza della conferma della sentenza da parte dei giudici di piazza Cavour.
L’altro elemento particolarmente rilevante tocca un nervo scoperto della legislazione italiana. Si parla dell’articolo 416-bis del Codice Penale italiano, il famoso reato di concorso esterno in associazione mafiosa, un reato che in Libano non è previsto e la cui applicabilità anche a carico di soggetti estranei al sodalizio mafioso è stata, ed è tuttora, in Italia questione ampiamente dibattuta e discussa in dottrina.
Secondo l’avvocato Azoury, insomma, ci sono ottime ragioni perché il Libano rimetta in libertà Dell’Utri rigettando la richiesta arrivata dall’Italia anche perché, sottolinea il legale con una punta di perfidia, «se il dossier Dell’Utri è un caso politico in Italia non lo è in Libano» e, quindi, il Procuratore generale Samir Hammoud «deciderà sulla richiesta senza prendere in considerazione il clima politico italiano».
Ma la strategia difensiva dei legali di Dell’Utri prevede anche un’altra tappa. Sono i suoi avvocati italiani, Massimo Krogh e Giuseppe Di Peri a spiegarlo anticipando che punteranno a Strasburgo e faranno dunque ricorso contro la sentenza alla Corte Europea dei diritti dell’uomo alle cui decisioni si sono impegnati gli Stati firmatari fra cui l’Italia. «Con ogni probabilità – ha confermato l’avvocato Giuseppe Di Peri – ci si rivolgerà alla Corte europea di Strasburgo per verificare se il procedimento è andato entro certi binari, se sono state osservate le regole processuali».
Quanto all’estradizione, dopo la sentenza della Cassazione, cambia poco o nulla: «Non ci sarà alcuna accelerazione né cambierà nulla nella procedura attivata dalle autorità italiane per chiedere l’estradizione di Marcello Dell’Utri – spiega ancora Di Peri – semplicemente il titolo custodiale sarà tramutato in ordine di carcerazione in seguito alla decisione della Cassazione».
Si apre, dunque, ora un periodo di schermaglie procedurali il cui esito non è al momento certo.
Per quel che riguarda il fronte libanese, secondo il penalista Roberto Afeltra che ha curato diverse procedure di estradizione «la reciprocità con l’Italia rispetto all’esistenza in Libano del reato per cui è stato condannato Dell’Utri esiste. Inoltre il Trattato Italia-Libano non nega l’estradizione per i reati prescritti, ma per i casi in cui è estinta la pena», sostiene il legale ricordando che la reciprocità, ossia l’esistenza del reato anche nel codice penale del Paese a cui si chiede l’estradizione, è una condizione cardine per poter ottenere il rimpatrio dell’accusato.
«In Libano esiste l’associazione di malfattori, che è assimilabile alla nostra associazione a delinquere e a cui può essere associato il concorso esterno in associazione mafiosa – osserva Afeltra, che fa poi rilevare un punto «L’avvocato libanese di Dell’Utri ha dichiarato che in Libano il reato che cui Dell’Utri è stato condannato in via definitiva è prescritto e per questo non si può procedere all’estradizione, perché il trattato bilaterale Italia-Libano la nega, all’art. 20, per i reati prescritti. In proposito ci sono due osservazioni da fare. La prima è che parlando di prescrizione del reato, il legale ha implicitamente ammesso che quel reato esiste anche in Libano e quindi sussiste la reciprocità su questo piano. La seconda è che l’articolo 20 del trattato stabilisce che è rifiutata l’estradizione se all’atto del ricevimento da parte del Paese richiesto, cioè il Libano, della domanda, l’azione penale o la pena risultano estinte. Ma la prescrizione non estingue la pena, che in questo caso non risulta estinta, bensì il reato».
Per quel che riguarda, invece, il fronte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, uno degli elementi sui quali gli avvocati di Dell’Utri punteranno sarà, certamente, quello che è costato, fino ad oggi, all’Italia, la maggior parte dei richiami da parte dei giudici di Strasburgo visto che il 90 per cento dei ricorsi presentati contro il nostro Paese riguarda la cosiddetta “durata ragionevole del processo”.
Per la Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha censurato più volte l’Italia sotto questo aspetto e che, per questo, ha stilato una serie di parametri inequivocabili a cui rifarsi, dal momento della notifica dell’atto di citazione o, comunque, dal momento in cui un imputato viene a conoscenza delle accuse che lo riguardano fino al cosiddetto dies ad quem, cioè fino al giorno in cui la sentenza diviene definitiva, qual’è, appunto, oggi, il caso di Dell’Utri, il procedimento viene considerato di durata irragionevole dai giudici del Cedu quando si superano i tre anni per grado di giudizio, quindi nel complesso, nove anni di giudizio.
La vicenda Dell’Utri si è conclusa dopo 20 anni, quindi più del doppio rispetto ai tempi che la Corte di Strasburgo ritiene essere tempi irragionevoli per un processo. Ma c’è un altro elemento più e più volte contestato nel corso dei dibattimenti dagli avvocati di Dell’Utri e che sarà certamente portato all’attenzione dei giudici europei. E è, sempre nell’ambito dell’articolo 6 della Corte europea dei diritti dell’uomo, la parte relativa alla violazione dei diritti della difesa, violazione che si può sostanziare in seguito a diversi comportamenti e, in numerosi casi, l’Italia è stata condannata dai giudici europei per quest’aspetto che concerne violazioni delle più rilevanti.