Se studi gli autori conservatori niente cattedra universitaria. Il racconto di Spartaco Pupo

15 Apr 2014 12:40 - di Redattore 89

C’è l’amarezza personale, per non essersi visto riconosciuto un ruolo per cui ha titoli e competenze e che, di fatto, ricopre già. E c’è lo sconcerto per aver dovuto constatare che in Italia una «università liberale» è di là da venire. Spartaco Pupo è un 39enne ricercatore di Storia delle dottrine politiche all’Università della Calabria ed è stato appena ritenuto non idoneo a ottenere l’abilitazione a professore associato, perché «la sua produzione è tutta concentrata – hanno scritto i commissari – sull’asse conservatorismo/comunitarismo e si presenta con un forte taglio ideologico».

L’accusano di essere di destra?

Non esattamente, usano una motivazione più subdola e censoria: mi accusano di aver fatto ricerche con un forte taglio ideologico perché mi sono occupato di autori, pensatori, intellettuali che definiscono «marginali».

E lo sono, marginali?

No, però sono autori che non piacciono al pensiero dominate: gli autori conservatori. Io credo di essere uno dei maggiori esperti del conservatorismo occidentale. Ho introdotto in Italia il pensiero di Robert Nisbet, mi sono occupato di Russell Kirk e di Michael Oakeshott. Ho scritto monografie, innumerevoli articoli e la stessa commissione mi ha riconosciuto una «ottima continuità scientifica». Però mi hanno contestato di non aver raggiunto «risultati innovativi» e di aver scritto su volumi e riviste che non sono del settore. Ora, mi domando, cosa c’è di più innovativo di una monografia su un autore che non è mai stato affrontato prima in Italia e di cui ho anche curato la traduzione delle opere? E se non va considerata pubblicazione di settore la Rivista di politica, diretta da Alessandro Campi e su cui scrivono tutti accademici, cosa va considerato pubblicazione di settore?

A questo proposito, ho letto che fra i commissari che l’hanno ritenuta non idoneo all’abilitazione ce n’è uno che scrive su Micromega e Manifesto…

Appunto, mi viene da dire “senti chi parla”. Chi dice che i conservatori sono marginali è specializzato su Gramsci. Voglio dire, non ci occupiamo di chimica o ingegneria civile, ma di storia del pensiero e delle dottrine politiche. Io mi occupo di autori conservatori e faccio un lavoro scientifico, non ideologico, come viene bollato. Dire che non posso essere abilitato perché mi sono occupato di «aspetti marginali con un forte taglio ideologico» equivale a dire che il conservatorismo non ha dignità di pensiero politico, in pratica che non vale nemmeno la pena studiarlo, che puoi scrivere solo di Gramsci, Nenni, Labriola, Marx e, questi sì, magari anche interpretarli ideologicamente.

I commissari sono cinque, si sono espressi tutti negativamente?

No, lo hanno fatto in tre, con valutazioni fotocopia, con tanto di refusi uguali, come se avessero fatto copia e incolla di un solo parere. Gli altri due, un professore americano e una professoressa di Bologna, avevano dato parere positivo. D’altra parte, il ministero indica dei criteri di valutazione oggettivi: pubblicazioni, internazionalizzazione della ricerca, insegnamento. Tutti requisiti che ho e che hanno spinto molti miei colleghi a non partecipare nemmeno.

Ora cosa ha intenzione di fare?

Potrei fare ricorso, ma non ho intenzione di farlo. Aggiungerei altra burocrazia e spese e sarebbe del tutto inutile, visto che il ricorso non ti fa vincere l’abilitazione, ma richiama solo la commissione a esprimere nuovamente un giudizio.

La stessa commissione?

Sì, la stessa. Continuerò a fare quello che già faccio: fare ricerca, insegnare, scrivere. A fare il professore, insomma. Io sono ricercatore perché ho vinto un concorso, ho un contratto a tempo indeterminato e, se si usasse la definizione stabilita dalla riforma Moratti, dovrei essere definito professore aggregato. L’abilitazione ad associato non mi serve per entrare stabilmente all’università, ma per uno scatto di carriera, che per altro non farebbe che riconoscere il lavoro che già svolgo. Aspetterò e vedrò cosa succederà. Il nuovo ministro ha già detto che vuole rivedere i meccanismi per l’abilitazione, dovrei comunque aspettare due anni prima di ritentare e dalla mia ho l’età. Intanto, ci sono i miei studenti, i miei lettori, i miei libri, che per fortuna hanno un pubblico numeroso. Saranno loro a giudicarmi in questo periodo e non questi soloni che agiscono in nome del popolo italiano.

Cosa le resta di questa vicenda?

Una consapevolezza amara sul fatto che un’università libera da processi di ideologizzazione non c’è mai stata e per averla bisognerà aspettare che vadano in pensione questi censori ideologici, questi residuati bellici di un comunismo militante, che frequentavano le vecchie sezioni del Pci e ancora sognano un’egemonia culturale che sia fiancheggiamento del partito. Il professore che ha guidato il fronte del no all’abilitazione poco tempo fa ha lanciato un appello ai “compagni” perché votino la lista Tsipras, ma i colleghi più giovani, anche dichiaratamente di sinistra, mi hanno espresso solidarietà e questo mi fa pensare che il ricambio generazionale cambierà le cose.

 

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