Renzi promette la fine dell’austerity. Ma Berlino e l’Fmi glielo consentiranno?
Consueto ottimismo per il premier Matteo Renzi che visita il salone del mobile a Milano e sfrutta l’occasione per lanciare i suoi annunci. Promette innanzitutto che con il semestre italiano di presidenza Ue finirà l’era dell’austerity. “Nel 2014 faremo sentire la voce dell’Italia – dice – non servono regole incentrate sull’austerità se poi la disoccupazione aumenta”. Ma è una promessa che il premier è in grado di mantenere? Ancora, Renzi esclude manovre bis, annuncia una “lotta violenta alla burocrazia” e si impegna a realizzare il suo programma di riforme a tempo di record: se tra un anno non si vedranno risultati “vorrà dire che anche noi siamo dei chiacchieroni”. Ma la sicurezza di Renzi deve fare i conti con la realtà: il premier non può ignorare che il Fondo Monetario Internazionale chiede che i tagli della spesa e delle tasse siano permanenti e non “una tantum”. Allo stesso modo Renzi non può ignorare i malesseri della minoranza Pd sulla riforma del sistema bicamerale. Solo sul fronte dei rapporti con Forza Italia il premier può tirare un respiro di sollievo: i mancati arresti domiciliari a Silvio Berlusconi rasserenano i rapporti con l’opposizione di centrodestra. E dunque Renzi può concentrarsi su altri temi da campagna elettorale, in competizione con i grillini: nelle sue uscite pubbliche rispolvera con piacere i suoi vecchi panni da rottamatore e mena fendenti contro banche, manager pubblici strapagati e politici che non vogliono cedere la poltrona. Ma nel frattempo Renzi è chiamato a dare un segno di cambiamento nella delicata partita sulle nomine dei vertici delle aziende pubbliche. Lunedì prossimo si vedrà quale sarà il tasso di rinnovamento che sarà capace di imporre il governo del rottamatore.