Renzi è già finito all’angolo: il decreto lavoro è tutto da riscrivere

24 Apr 2014 15:57 - di Silvano Moffa

Ha un bel da fare Matteo Renzi a gingillarsi con Twitter. Sarà pure un linguaggio moderno e diretto il suo. Un modo per smontare con una battuta le tesi avversarie, un mezzo per ironizzare sui tanti gufi che volteggiano nel cielo stellato della Repubblica e che, a suo dire, non vedono l’ora di vederlo affondare, schiacciato dalla vacuità delle sue stesse promesse e da un profluvio di parole senza precedenti. Però, c’è un però che sovrasta questa sconclusionata fase della politica italiana. E la rende impervia, più che indecifrabile. Al primo vero scoglio parlamentare, l’ex sindaco di Firenze non ci sembra che se la sia cavata granchè.  Certo, il voto di fiducia sul decreto lavoro non è mancato. L’ordine di scuderia, in qualche modo, ha funzionato. Renzi ha dovuto però ingoiare alcune modifiche, imposte dall’ala oltranzista del Pd, guidata da Cesare  Damiano , e dalla Cgil  della Camusso. Non sono correzioni di dettaglio, come lo stesso Renzi vorrebbe far credere. Si tratta,invece, di elementi di sostanza.  Che la dicono lunga sullo stato dei rapporti a sinistra e sulla natura ideologica del conflitto che si apre su quel versante politico ogni qual volta si affrontino i temi del lavoro. Prendiamo l’argomento dell’apprendistato. Per certi versi è la parte più delicata dell’intero provvedimento di riforma. Quella, sicuramente, su cui il presidente del Consiglio contava di più, se non altro per mostrare un volto liberalizzante e per imprimere una accelerazione ai processi di semplificazione.Il testo uscito dalla commissione Lavoro della Camera e approvato dall’Aula ha di fatto cancellato gli aspetti di flessibilità che pure erano stati inseriti nel testo uscito dal Consiglio dei ministri. Con il risultato di irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro, puntando esclusivamente su una formazione di stampo esclusivamente pubblico. Il contrario, per intenderci , di quanto avviene in Germania e di quanto il buon senso suggerisca, alla luce delle esperienze negative degli ultimi tempi fatte in capo alle Regioni. Insomma. nonostante i tanti proclami renziani, la sinistra continua a non nutrire fiducia nelle capacità formative dell’impresa. L’integrazione tra pubblico e privato è la strada maestra da perseguire se si vuole davvero dare una spinta all’occupazione e facilitare le imprese nel compito di inserire i giovani nel mondo del lavoro.Ora la parola passa al Senato, dove le truppe  alleate (Nuovo centrodestra e Scelta civica) sembrano agguerrite. Vedremo come andrà a finire. Per il momento ci limitiamo a registrare la caduta della maschera liberale o pseudotale che un po’ troppo frettolosamente  qualcuno, anche a destra, aveva appioppato al giovane inquilino di Palazzo Chigi. Il tempo, come sempre, è galantuomo.

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