Esodo, l’ultimo torto agli esuli italiani da uno Stato che fa il Ponzio Pilato

7 Apr 2014 20:22 - di Aldo Di Lello

A 67 anni dall’Esodo degli italiani dalle terre adriatiche, un ennesimo  schiaffo alla giustizia è arrivato da uno Stato indifferente e, per certi aspetti, “patrigno”. La Corte di Cassazione ha detto no in maniera definitiva alla richiesta di istriani, fiumani e dalmati di ricevere un equo indennizzo per i beni che furono loro sottratti dai titini a seguito del Trattato di pace. Gli esuli avevano citato in giudizio lo Stato italiano chiedendo di essere risarciti e giudicando irrisori e tardivi gli indennizzi stabiliti negli anni Ottanta dopo il Trattato di Osimo siglato nel 1975. Si è trattato di un lungo contenzioso giudiziario che ora si conclude con una decisione dal chiaro sapore pilatesco. La Suprema Corte sottolinea (bontà sua) che esiste un «diritto soggettivo» degli esuli espropriati nei confronti della Pubblica amministrazione, ma poi aggiunge che tale diritto «non limita le scelte del legislatore nel determinare la misura dell’indennizzo». Tale intervento – precisa la Cassazione – è stato «ispirato a criteri di solidarietà della comunità nazionale» e «non a un obbligo di natura risarcitoria per un fatto illecito, non imputabile alla Stato italiano». Insomma, l’Italia, per gli “ermellini”, se ne deve lavare le mani.

A nulla è valso il fatto  che i firmatari del ricorso si sono richiamati a una sentenza del 2004 della Corte Europea per i diritti dell’uomo, la quale  aveva riconosciuto il diritto al risarcimento dei cittadini polacchi che avevano perduto i loro beni a causa degli accordi tra il loro Paese e le Repubbliche sovietiche. Il caso, secondo la Suprema Corte, sarebbe diverso perché la «privazione dei beni dei cittadini italiani si è verificata a opera di uno Stato straniero, al  quale il territorio su cui essi si trovavano è stato ceduto dall’Italia, soccombente nel conflitto bellico», mentre invece, nel caso polacco, si tratterebbe di un accordo tra due Stati usciti vincitori dal conflitto «con l’assunzione, da parte dello Stato polacco, di una specifica obbligazione di risarcimento nei confronti dei propri cittadini».

C’è di che rimanere sconcertati. Uno Stato deve quindi risarcire i propri cittadini quando è vincitore e ignorare invece il loro diritto quando è sconfitto? L’amara verità è che degli italiani delle terre adriatiche non è mai importato granché ai governi della Repubblica. Tant’è che l’occasione per porre il problema degli indennizzi s’era comunque presentata  all’indomani della implosione della ex Jugoslavia.  Ma nulla è accaduto. Per una certa Italia “matrigna” ci sono figli e figliastri. E non c’è dubbio che gli esuli italiani hanno a lungo appartenuto alla seconda categoria. E ciò perché erano i testimoni viventi della tragedia dell’Esodo e delle Foibe e perché avevano “osato” fuggire dal “paradiso” del socialismo reale. In realtà, proprio perché testimoni di tragedie, gli esuli dovevano ricevere il massimo dell’attenzione. Ma ciò accade solo nei Paesi con un forte senso dell’appartenenza e dell’identità nazionale. Non nell’Italia della seconda metà del Novecento. E oltre.

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