E Morando si infila il colbacco di Lenin: «Carcere per gli imprenditori che violano il salario minimo»
Gratta gratta, anche nel mite e liberal Enrico Morando riemerge l’anima del vecchio bolscevico. Per un istante, al workshop Ambrosetti di Cernobbio, sembrano tornati i tempi del biennio rosso 1919-1920, quando si inneggiava alla Rivoluzione d’Ottobre e si invocava la giustizia sommaria per gli odiati capitalisti. È stato quando il viceministro dell’Economica ha sibilato dal palco questa minaccia: «Si potrebbe fare alla svelta una legge sul salario minimo che preveda il carcere per i datori di lavoro che non la rispettano». Morando auspica un «accordo di secondo livello che possa derogare su tutto, tranne che sulle disposizioni di legge, rispetto al contratto nazionale». C’è più di un motivo per essere perplessi. E speriamo solo che si tratti solo della classica voce dal sen fuggita. Se non fosse così, ci sarebbe seriamente da essere preoccupati. Perché certe espressioni da odio di classe vengono da un esponente del Pd renziano, che occupa peraltro un ruolo di tutto rilievo nel governo. Con questo, non intendiamo certo difendere quegli imprenditori che sfruttano cinicamente il lavoro operaio, sottoponendo i dipendenti a turni massacranti per un salario di fame. Ma, nelle economie di mercato degne di tale nome, il salario è frutto della contrattazione, anche aspra, tra le parti sociali, non certo delle sentenze del giudice penale. Introdurre la parola “carcere” nel diritto del lavoro, materia per eccellenza privatistica, è cosa che mette un po’ i brividi. Poi si può certo discutere sul principio del salario minimo. Se ne può valutare o meno l’opportunità come strumento per combattere la giungla del precariato e dello sfruttamento. E vale anche la pena ricordare che l’istituto del salario minimo è previsto nella maggior parte dei Paesi dell’Ue . Ultima per ordine di tempo la Germania. Il Bundestag ha approvato nei giorni scorsi una legge che fissa la soglia retributiva, al di sotto della quale non si può scendere, in 8,5 euro l’ora. Ma invocare l’intervento dei carabinieri è un’altra cosa. Vuol dire introdurre surrettiziamente il principio che la proprietà potrebbe essere anche considerata un furto.
Delle due l’una: o Morando è preso da improvvisa nostalgia dei tempi in cui era un fervente militante (e poi dirigente) del Pci; oppure, come è più probabile, il Pd renziano tenta di vellicare le componenti più radicali della sinistra per compensare la medicina amara (per i “compagni” duri e puri) dei jobs act. Astuzia politicamente legittima. Ma che non può essere pagata dagli italiani, i quali non meritano di vedere introdotti nella legislazione del lavoro princìpi di socialismo reale.