Siluro del pentito Spatuzza contro Grasso: a lui e a Vigna, nel ’77, dissi di Berlusconi…

14 Mar 2014 19:39 - di Redazione

Si può finire nei pasticci in molti modi in Italia. Basta che un pentito dica “A”. Oppure “B”. Una lettera a caso. Magari dopo 16 anni, volete che non si trovi un magistrato di buona volontà che da quell’unica vocale o consonante lasciata a galleggiare nell’aria dal pentito riesca a ricavare un nome un nome e un cognome e a cucirgli, poi, addosso una bella indagine, magari per mafia?
Succede anche questo, in Italia. Succede, per esempio, che il sedicente “pentito” Spatuzza, 40 omicidi sul groppone, si ricordi, ora, di Silvio Berlusconi. Non ne ha mai parlato prima. Soprattutto non ne ha mai parlato nei 180 giorni che la legge concede ad ogni nuovo pentito per scavare nella sua memoria e tirare fuori tutto quello che sa. O che sostiene di sapere. Una norma di civiltà, per impedire, come accadeva prima, che i pentiti barattino qualsiasi rivelazione pur di ottenere privilegi. Era l’epoca in cui ai magistrati armati di buona volontà bastava presentarsi, per esempio, davanti al portone della fortezza rinascimentale di Paliano per cercare un pentito disponibile a raccontare qualcosa. C’era la fila per farsi interrogare. manco regalassero pacchi dono. Ore e ore di verbalizzazioni fino a quando qualcosa di utile non saltava fuori. Più che un carcere dei pentiti, Paliano era il supermarket dei pentiti. Si potevano trovare “verità” un tanto al chilo. Oggi, dopo quella norma del 2001 le cose dovrebbero essere cambiate. Dovrebbero.
Spatuzza ieri ha parlato di Berlusconi e  Dell’Utri. E c’è voluto poco al difensore di Dell’Utri per eccepire che queste dichiarazioni, ancorché generiche e fumose, sono arrivate tardive, oltre i 180 giorni previsti dalla norma. Cosicché stamattina Spatuzza è stato costretto a spiegare che non aveva parlato, fino ad oggi, per paura. Certo,uno con 40 omicidi alle spalle, uno che ha ammazzato mafiosoni e picciotti, uno non ha avuto remore ad ammazzare il prete di Bancaccio, Don Puglisi, può ragionevolmente aver paura di Berlusconi e Dell’Utri.
«Dopo alcune settimane dalla mia decisione di collaborare con la giustizia, nel 2008 – sostiene Spatuzza – cadde il governo Prodi e subentrò in me un grosso timore. Mi trovai Berlusconi presidente del Consiglio e Alfano come ministro della Giustizia e le mie preoccupazioni aumentarono ulteriormente».
«Se il governo fosse caduto prima – ha aggiunto il killer di Don Puglisi – non mi sarei neppure pentito. Non voglio insinuare nulla su Alfano. Non voglio dire cose che non so, ma certo ero preoccupato».
Dopodiché, avendoci dormito su una notte deve aver rimuginato sul fatto che in effetti la storia non stava in piedi. Si è ripresentato con la stessa faccia tosta di fronte alla Corte che lo sta ascoltando per il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia nell’aula bunker del carcere di Rebibbia. Forse la notte ha portato consiglio, come si dice. E ha capito che ci voleva qualcosa di più per suggestionare la Corte e anche i media (alcuni dei quali, in verità, si fanno suggestionare per molto meno).
Così oggi Spatuzza ha trovato l’incastro. «Nel 1997, anni prima di cominciare a collaborare, durante un colloquio investigativo con l’allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna e con Piero Grasso, dissi ‘fate attenzione a Milano 2‘. Stavamo per salutarci e io mi sentivo di dire qualcosa anche se ancora non ero pentito». C’è da immaginarsela la scena. Spatuzza che si sente di dire qualcosa. Ha questo bisogno impellente, quasi corporale. Sta lì lì che gli scappa. Non riesce a trattenerla. Poi, finalmente sputa il rospo. “State attenti a Milano 2
Vigna e Grasso certamente si saranno detti «Ma che vorrà dire Spatuzza con questa frase criptica proprio mentre ci sta salutando?». Vigna, che, per anni, ha inseguito un mostro come quello di Firenze, non era certo il tipo che non si faceva domande. Fatto sta che, per anni, nessuno sembra ricordarsi che Spatuzza parlò di Berlusconi.
L’assassino di Don Puglisi la spiega così la cosa: «Intendevo dare in modo soft, come avevo fatto per il furto della 126 usata per la strage di via D’Amelio, un’indicazione». Forse sarà stata troppo “soft” quell’esternazione. Talmente soft che o i due magistrati non la colsero oppure la colsero e non gli dettero peso per quanto era soft. O, terza ipotesi, Spatuzza fu talmente “soft” che le paroe non gli uscirono dalle labbra. Le pensò solo.
Tredici anni dopo, solo nel 2009, forse avendo capito che nessuno lo aveva capito, decise di schiarirsi la voce e fece, finalmente, il nome di Silvio Berlusconi. Peccato che un anno dopo la Corte d’appello di Palermo ne farà a pezzettini la credibilità: inattendibile, sentenziarono i giudici.

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