Da Renzi altolà ai sindacati: basta coi poteri di veto
Stop ai sindacati. Nel 2018 il Partito democratico al 40% e la disoccupazione sotto il 10%. Quattro anni di governo per agguantare due obiettivi ambiziosi, attraverso un percorso fatto di riforme. Matteo Renzi mette sul piatto la sua scommessa a lungo termine. E in un’intervista notturna alla trasmissione tv Bersaglio mobile, ha ribadito: «Metto in gioco me stesso», se le riforme falliscono «me ne vado. Rischio l’osso del collo». Renzi sa di giocare la sua battaglia in campo aperto: «C’è un esercito di gufi e rosiconi che spera che l’Italia vada male» e che raccontano “balle” come quella sulle auto blu che aumentano, scandisce. E spiega di ritrovarsi tra l’altro a vivere “la difficoltà” di avere come interlocutori dei parlamentari che non controlla («Non eletti con liste fatte da me»). Ma non c’è alternativa, per il premier, a «mettere in gioco tutto» con «riforme coraggiose», come quella “storica” del bicameralismo e del titolo V che lunedì porterà in Consiglio dei ministri. Con un testo che non toccherà il tema della forma di governo perché «non è centrale». In parallelo, la sfida va avanti sul fronte economico. Il Def, ha anticipato Renzi, stimerà una crescita tra lo 0,8 e lo 0,9%: un dato più basso dell’1% indicato nella previsione («ahimé un po’ ottimistica») dell’ex ministro Saccomanni. Ma con il taglio del cuneo per i redditi medio-bassi che garantirà «80 euro in busta paga» a chi ne guadagna «meno di 1500», la speranza è che «alla fine si arrivi all’1% e lo si superi», ha spiegato il premier. Quanto ai temi del lavoro, il presidente è tornato a difendere le misure del governo («lunedì presenteremo il ddl delega in Parlamento») e a pungolare i sindacati: «Basta con i poteri di veto», ha tuonato. Poi più in generale ha affermato: «La musica è cambiata per tutti, o si cambia tutti o si va a casa». Anche perché bisogna “correre” per raggiungere obiettivi ambiziosi come quello di riportare la disoccupazione, che è al 12,4%, sotto il 10% nel 2018. È quella la data delle prossime elezioni politiche, il momento in cui il Pd «dovrà puntare al 40%», in un “bipolarismo” agevolato dall’entrata in vigore dell’Italicum, con un «centrosinistra attorno al Pd» e dall’altro lato «un nuovo centrodestra». Senza, quindi, il M5S di Beppe Grillo. A lui Renzi ha detto di non voler «fare la guerra», perché la competizione si gioca su un altro piano: «Tra chi vuole mettere in moto l’Italia e chi fa in modo che le cose non vadano». In questa competizione, fin da subito, il segretario Pd punta a prendere più del 26% alle europee, superando il risultato precedente. In Europa il premier vuole andare non a «fare i compiti», ha ribadito, ma a indicare un «modello diverso». A parlare di politica e non di «regole, regole, regole». Anche perché le sole regole fin qui non hanno prodotto i risultati sperati, visto come è aumentata la disoccupazione e il debito pubblico italiano. Ad ogni modo quelle regole Renzi si impegna a rispettarle, a partire dal fiscal compact, un tema che «affronteremo nei prossimi mesi», ha detto, consapevoli che però è prioritaria la discussione sulla necessità dell’Europa di «tornare a fare politica».