Novemila euro per un falso permesso di soggiorno ai cinesi. Sgominata una gang
Dalla Cina arrivavano a centinaia grazie a falsi permessi di soggiorno. Non è la prima volta che succede, ma questa volta a differenza del passato la situazione è stata gestita non solo da una gang cinese ma anche da affaristi italiani. Un medico e consulenti del lavoro emettevano certificazioni false per favorire il rilascio di permessi a immigrati cinesi, che avevano come riferimento un loro connazionale che non usava il telefono cellulare per evitare di essere intercettato. Ogni pratica aveva un costo che oscillava dai sette ai novemila euro. È quanto emerge dalle indagini della squadra mobile di Ragusa che, coordinata dalla Dda della procura di Catania, ha sgominato una banda che, tramite certificati e attestazioni falsi, riusciva a ottenere autentici permessi di soggiorno per cittadini orientali. Gli arrestati sono il cinese Zhu Qiyin, 57 anni, imprenditore tessile, Antonino Di Marco, 43 anni, titolare di un’agenzia d’affari, Salvatore Distefano, 53 anni, commerciante e vicepresidente del Comiso Calcio, il medico Giorgio Cappello, tecnico di prevenzione dell’Asp, 51 anni, Giovanni e Giuseppe La Terra, padre e figlio di 69 e 46 anni, entrambi imprenditori agricoli. Agli indagati italiani sono stati concessi i domiciliari. Sono centinaia le pratiche finite al centro delle indagini che richiedevano permessi di soggiorno per cinesi provenienti da varie parti d’Italia. Proprio questo ha insospettito la questura di Ragusa e ha fatto iniziare le indagini. Zhu, secondo l’accusa, svolgeva il ruolo di intermediario tra i suoi connazionali, che a volte non erano ancora neppure arrivati in Italia, e i soggetti che attestavano falsamente i requisiti per il rilascio del nulla osta al ricongiungimento. Durante un controllo della polizia il cinese ha tentato di ingoiare documenti che la polizia ritiene “compromettenti”. Di Marco avrebbe curato la registrazione dei contratti di locazione presso l’Agenzia delle entrate e assunto, talvolta il ruolo di datore di lavoro degli immigrati perché grazie alla sua frequentazione con il medico Cappello evitava di produrre i documenti necessari all’Asp. Il medico avrebbe anche garantito false certificazioni dell’idoneità igienico-sanitaria degli alloggi dei cinesi. Distefano avrebbe fatto anch’egli da finto datore di lavoro mentre i La Terra avrebbero predisposto fittizi contratti di affitto di immobili di loro proprietà. Molti falsi titolari di lavoro di cinesi erano all’oscuro della vicenda. L’organizzazione, ritiene la polizia, era diventata un punto di riferimento in tutta Italia: tra le pratiche esaminate vi sono quelle di cinesi provenienti da Prato, Milano, Torino, Roma, Ancona, Reggio Calabria.