Letta gioca la carta della politica estera per non guardare ai dissidi italiani. E promette un museo dell’arte islamica a Venezia
La crisi è “finita, superata, dietro alle spalle”: l’Italia è uscita dal tunnel con le sue forze, “senza chiedere un euro all’Europa”, ed è ad un “punto di svolta”, pronta a crescere e portare a casa “gli investimenti esteri”. Enrico Letta rivendica con forza i risultati della sua missione negli Emirati e in una conferenza stampa a Doha sciorina promesse e prefigura scenari di scintillante ripresa. “Faremo un museo di arte islamica a Venezia”, assicura (un progetto di cui si parla da anni ma per il quale non c’è ancora neanche una location sicura). Quindi sottolinea che si recherà a Sochi per sottolineare soprattutto la candidatura italiana per le Olimpiadi di Roma del 2024. Ma in quella sede esprimerà anche la contrarietà dell’Italia alle leggi che discriminano i gay. Gli investitori, assicurano, guardano ora all’Italia con fiducia, “è uno sprone ad andare avanti”.
Quella vantata da Letta è però per gli osservatori interni solo una “ripresina” e l’ottimismo è solo una mossa propagandistica che, come afferma il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, non ha fondamento su cifre reali. Le cifre odierne dell’Istat, ad esempio, fotografano una situazione allarmante per le famiglie italiane il cui poter d’acquisto si è ridotto dell’1,9% (un indicatore che cresce al Nord, da sempre culla produttiva del Paese). Ma Letta all’estero presenta un’Italia ‘sana’, credibile, che “vuole aprirsi a investimenti stranieri”. Non senza risultati, fa notare, spiegando che “ho presentato un piano di investimenti, il piano di privatizzazioni già operativo: le reazioni che ho visto direttamente porteranno risultati molto utili” in termini di apporto di capitali dall’estero. Perché il piano di dismissioni che “è ambizioso”, ma i mercati sono pronti a recepire, non punta solo alla riduzione del debito ma anche all’attrazione di risorse dall’estero. E il premier coglie l’occasione per mandare anche un messaggio in Italia “a chi ha voce in capitolo”: “Ognuno faccia la sua parte”, dice pensando probabilmente anche ai sindacati.