Il mondo capovolto (in bene): un baby calciatore rimprovera il padre che aveva picchiato l’arbitro
È successo in provincia di Bergamo. Ed è un piccolo, positivo segno dei tempi. Un calciatore tredicenne ha rimproverato pubblicamente il padre, che poco prima aveva picchiato l’arbitro costringendolo a recarsi al pronto soccorso.L’episodio è avvenuto durante l’intervallo dell’incontro Caravaggio-Trevigliese, un derby tra ragazzi di 13 anni. Il manesco genitore ha raggiunto nello spogliatoio l’arbitro della partita in cui giocava il figlio tredicenne e lo ha spintonato e preso a calci. Il direttore di gara, un trentacinquenne, ha quindi abbandonato la partita e si è recato in ospedale. Fin qui si tratta di un fatto di ordinaria inciviltà, come ne avvengono tantissimi, ogni domenica, durante le partite di calcio delle categorie minori. Ma l’evento davvero eclatante si svolge poco dopo, quando il ragazzino, mortificato per la brutta azione compiuta dal padre, lo sgrida pubblicamente, spiegando ai compagni e agli spettatori perché la partita deve essere sospesa. In quel campo di calcio del Bergamasco, il mondo si è, per un istante, capovolto: non sono i genitori a rimproverare i figli, ma i figli i genitori. In una società in cui tanti genitori non sanno più fare il “mestiere” di padre o di madre, e dove il senso delle regole e della civiltà si smarrisce nel “tutto è lecito” , è accaduto che sia stato un figlio adolescente a difendere il valore del rispetto della persona che doveva invece trasmettergli il padre. Non c’è dubbio che si tratti di una vera (e bella) notizia. Perché la cronaca ci racconta quotidianamente ben altri fatti, con genitori iperprotettivi che non sanno più testimoniare davanti ai figli ai figli il senso dell’autorità, della responsabilità, della socialità. Come quel padre di Palermo che ha aggredito una professoressa colpevole di aver dato una insufficienza al figlio. In quel caso il bambino ha accettato (e probabilmente approvato) l’atto di prevaricazione del genitore. Speriamo che gli giunga notizia dell’atto di coraggio e maturità compiuto dal suo coetaneo di Bergamo.