I pm indagano Grillo e il “Fatto” s’indigna con i giudici. Dove è finito il giustizialismo di Travaglio?

8 Feb 2014 18:23 - di Aldo Di Lello

Il giustizialismo rende politicamente. Ma quando è a corrente alternata, rende ancora di più. È conveniente invocare la giacobina  ghigliottina quando nel mirino dei giudici finisce un nemico. Quando però nello stesso mirino incappa un amico, allora conviene invece vestire l’abito del garantismo. Così sembrano pensarla al Fatto Quotidiano. Antonio  Padellaro e Marco Travaglio hanno infatti “scoperto” che in Italia esiste una magistratura politicizzata da quando le toghe  hanno cominciato a interessarsi a Beppe Grillo, personaggio coccolato da sempre dalla terribile coppia di intrasigenti giacobini . Ecco infatti il testo di un post che troviamo sulla pagina Facebook del Fatto: «Grillo, il pm di Torino chiede 9 mesi di carcere per le contestazioni No Tav. Genova e altre procure lo accusano di istigare a compiere reati. Qualcuno sta esagerando». La magistratura «esagera»? È a dir poco sorprendente sentirlo dire da quelli del Fatto, giornale che sembra davvero la Voce delle Procure quando si tratta di parlare dei guai giudiziari di Berlusconi, di altri esponenti del centrodestra e persino nel caso della richiesta a testimoniare rivolta dai giudici di Palermo a Napolitano. È in quei casi che Padellaro e Travaglio lanciano dardi di “indignazione civile” dai loro furiosi editoriali, con i giudici che vengono dipinti come salvatori della patria e baluardo democratico. Ora invece i giudici debordano dai loro compiti. Non è strano? Niente affatto, almeno conoscendo i moralisti, gli intransigenti e i bacchettoni di casa nostra, che agitano l’arma dell’etica solo per intimorire gli avversari, per delegittimarli e ridurli al silenzio. È anche vero, d’altra parte, che l’ipocrisia e il trasformismo sono tratti caratteristici del giacobinismo, fin dal tempo delle origini rivoluzionarie, quando non furono pochi i sostenitori di Robespierre e Saint Just che si fecero entusiasti sostenitori del Direttorio termodoriano, prima, e del Consolato napoleonico, poi, una volta interrotta (a suon di decapitazioni) la fase del Terrore.  Ma in Italia, che rimane pur sempre la patria di Pulcinella, Arlecchino e di tutti i personaggi della Commedia dell’Arte, accade spesso che  le contraddizioni e le incongruenze dei tanti rivoluzionari immaginari in circolazione tendano assumere tratti grotteschi. Grillo, certo, non è Robespierre. Ma, se è per questo, nemmeno Travaglio è l’abate Sieyès. E, se vogliamo, neanche Arcore è Versailles.

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