Il venticello arabo sulla nostra flotta aerea fa innervosire i tedeschi…
La reazione della tedesca Lufthansa alla possibile alleanza tra Etihad Airways e Alitalia la dice lunga sullo stato in cui versa l’Europa. Al modo in cui la Germania interpreta le norme sulla concorrenza. Svela la guerra in atto tra le maggiori compagnie aeree del mondo per conquistare rilevanti fette del mercato. Il tutto condito da una vertenza tutta interna al nostro principale vettore nazionale, le cui criticità sono ben note e datate da gran tempo. La trattativa in corso tra i vertici dell’Alitalia e il principe arabo Hamed Bin Zayed Al Nayan presenta, per entrambi i soggetti, un obiettivo interesse. La compagnia di bandiera italiana è troppo debole per competere a livello internazionale. Nonostante l’ingresso di nuovi soci (principalmente, Poste), l’aumento di capitale, e lo sblocco della vertenza con i sindacati sulla cig a zero ore per 350 lavoratori, l’azienda è tutt’altro che salva. I conti continuano ad essere in rosso e le prospettive, allo stato, sono tutt’altro che rosee. Per gli arabi, il discorso è diverso. Etihad poggia su solide basi finanziarie. Gode di un volume di traffico non indifferente. A differenza delle compagnie europee che faticano a mantenersi in equilibrio tra esuberi di personale e debiti, quelle arabe non badano a spese. Emirates ha attivato una commessa di duecento aerei, pari ad un valore di cento miliardi di dollari; Etihad ne ha ordinati cento tra Boeing e Airbus. In gioco è il trasporto aereo europeo. E’ in questo spazio che si è aperta la competizione più interessante per gli emirati arabi, dopo che la crisi e l’irruzione delle compagnie low cost hanno letteralmente scompaginato il quadro tradizionale, lasciando sopravvivere, in pratica, soltanto Air France-Klm, Lufthansa e British, ossia i tre competitor più solidi e meglio attrezzati per i collegamenti internazionali. Le dinamiche del mercato e , come abbiamo detto, le difficoltà nel gestire un settore che ha accusato la crisi non meno di altri, hanno aperto il campo alle potenze asiatiche. La scalata di Etihad è iniziata due anni fa. Acquistando quote di Air Berlin, di Air Serbia, di Germanwigs, della irlandese Aer Lingus, la compagnia araba ha progressivamente mostrato il suo interesse per l’Europa. Ora, l’ingresso in Alitalia le potrebbe finalmente assicurare una presenza più massiccia e una maggiore operatività nelle rotte per gli Stati Uniti e l’America del Sud. Strategicamente l’hub di Fiumicino presenta le migliori caratteristiche geografiche e ambientali per questo scopo. Insomma, muovendo i vettori dal cuore del Vecchio Continente,gli arabi si garantirebbero il salto dalle piccole compagnie low cost alla sfera dei grandi asset del trasporto intercontinentale. Un vantaggio competitivo di portata non indifferente. Un vantaggio capace di assorbire anche il limite del 49 % nel possesso di una azienda europea, che è il limite vigente in Europa per le compagnie che hanno sede fuori dai suoi confini. Alitalia, in buona sostanza, avrebbe un ruolo di ponte nell’amplificare e rafforzare i traffici del principe ereditario degli emirati. Ciliegina sulla torta: l’illustre rampollo della casa reale vanta nel suo curriculum un passato nella Accademia militare di Pozzuoli, dove ha imparato a pilotare gli elicotteri. L’arabizzazione del trasporto aereo europeo ovviamente presenta i suoi pro e i suoi contro. Non va giù, come è facile intuire e come la levata di scudi tedesca ha fatto chiaramente intendere, alla Lufthansa che teme il profilarsi di una forte concorrenza a suo danno. Di qui le accuse di “aiuti di Stato” all’Italia. Trattandosi di trattative tra privati – quelle in corso tra Alitalia ed Etihad – come ha sottolineato il ministro Lupi, si tratta di accuse infondate . Sono accuse , però, che denunciano ancora una volta i limiti e i malanni di questa Europa. Essa avrebbe dovuto mostrare senso di coesione, pulsione di appartenenza e capacità di lettura dei problemi dei partner in difficoltà, nei momenti delicati e difficili. Quando, per esempio, per Alitalia si profilava la bancarotta e qualcuno, a Parigi come a Berlino, sperava di coglierne i frutti, presentandosi al banco della svendita. Non solo. In questi anni, il “credo” di Berlino, con le sue regole e le sue imposizioni, si è tradotto nel dettare compiti a destra e a manca. E non sempre, peraltro, quella regola è stata rispettata da chi la imponeva agli altri. Di che lamentarsi ora? Sono altri, semmai, i problemi che la trattativa oggettivamente pone. All’Alitalia e al governo. Dobbiamo preoccuparci che dalla alleanza italo-araba per solcare i celi europei la bilancia dei vantaggi non penda esclusivamente a favore degli asiatici. Dai diversi interessi in campo dovranno sortire uno stabile equilibrio e un più forte cartello imprenditoriale. I prossimi trenta giorni saranno, dunque, decisivi. In gioco non c’ è solo il destino di Alitalia e quello di migliaia di lavoratori. In gioco c’è il prestigio del nostro Paese.