E ora che farà Enrico Letta? Il fantasma con la campanella
I fantasmi, come tutti sanno, prediligono gli storici palazzi per le loro passeggiate notturne. Secondo un certa tradizione popolare, questi loro tour nel cuore delle tenebre sono accompagnati da stridor di catene, lamenti e invocazioni. D’ora in poi, il nuovo fantasma che si aggirerà per i corridoi di palazzo Chigi avrà come suono inconfondibile quello di una campanella. Essì stiamo proprio parlando del fantasma di Enrico Letta. L’ultimo flash che lo ha consegnato alla storia riguarda proprio la cerimonia della campanella, vale a dire il passaggio di consegne tra lui e Renzi. È stata probabilmente la scena più triste e imbarazzante della recente storia politica italiana. Il presidente del Consiglio uscente e quello entrante non si sono mai guardati negli occhi. Letta si è girato per andare via mentre ancora stringeva la mano (si fa per dire) al nuovo premier. Il tutto è durato pochissimi istanti. Se la cerimonia fosse durata qualche secondo in più, sarebbe ghiacciata tutta la sala, visto il gelo polare dell’intera atmosfera.
E ora dunque che farà il povero Letta? Farà, per l’appunto, il fantasma. Farà come Mago Merlino, imprigionato in un blocco di ghiaccio dalla malefica Morgana: «Per alcuni sarò un sogno, per altri un incubo!». S’aggirerà, il fantasma di Enrico, a ricordare quanto possa essere infame la politica. Girerà, con il coltello di Renzi conficcato tra le scapole, ad ammonire i giovani politici sulla necessità di non fidarsi mai di nessuno: «Dai nemici mi guardo io. Dagli amici mi guardi Iddio». Mai tradimento fu più sfacciato e clamoroso. E il fantasma di Letta ne sarà il memento perenne. Si tratta di un rilevante passaggio nello stile politico diffuso in Italia. Attenzione, non è che in passato i rapporti personali tra esponenti di uno stesso partito siano mai stati all’acqua di rose. Però c’erano sempre i rituali dell’ipocrisia a fare da necessario paravento in nome di una non meglio precisata «ragione superiore». Ma da oggi, con la gelida cerimonia del passaggio di consegne tra il premier «dimissionato» e quello «intronizzato», abbiamo avuto la plastica dimostrazione che anche l’ipocrisia della ragione di partito è saltata per aria. Anche perché, in fondo, una vera ragione di partito non c’è mai stata a giustificare la «staffetta» Letta- Renzi. Né tantomeno una ragione istituzionale o di alta politica. Tutto alla fine si riduce a un fatto di rivalità personale. Rivalità e, naturalmente, rancore. Così, come triste annuncio alle sempre possibili disgrazie politiche di Renzi, ci sarà un inquietante suono di campanella, che si farà udire prima di tutto per i corridoi di Palazzo Chigi.