Dopo l’incarico, è tutta in salita la missione di Renzi. Fratelli d’Italia protesta davanti al Quirinale

17 Feb 2014 14:36 - di Gloria Sabatini

Da qualche ora Matteo Renzi è un’altra persona e non solo perché la camicia arrotolata sugli avambracci  ha lasciato il posto a un impeccabile completo blu inamidato come i fiocchi dei grembiuli di una volta (e la smart è destinata a rimanere in garage per un bel po’). Poco dopo le 12, davanti ai flash e ai tablet dei giornalisti ammucchiati da un paio d’ore nella Loggia d’Onore del Quirinale, si presenta un “giovane quarantenne” con il volto teso, il sorriso appena accennato, l’eloquio lento. Lo smalto del Pierino toscano è scomparso sotto il peso di una crisi fortissimamente voluta,  che ora però si presenta molto più complicata delle previsioni dell’ex boy scout dalla straordinaria ambizione. «Ho accettato con riserva, con la responsabilità e il senso dell’importanza e rilevanza della sfida e ho assicurato che metteremo tutto l’impegno in questa difficile situazione», ha detto il premier incaricato facendo capire di avere bisogno di tempo («ci vorrà qualche giorno»): per non restare  vittima della sua stessa operazione deve riuscire a tirare dentro tutte le forze politiche, alle quali infatti ha rivolto un appello molto chiaro «perché siano consapevoli», perché – come gli ha ricordato un osso duro come  Sergio Chiamparino – «la forza di un governo può venire o dal consenso elettorale o da un grande gioco di squadra. Non c’è il primo,  serve il secondo». Non a caso Renzi ha indugiato sulla «straordinaria» attenzione ai contenuti e, da buon giocatore di poker, senza avere ancora le carte ha annunciato un’agenda di governo pirotecnica: entro il mese di febbraio «compiremo un lavoro urgente sulle riforme della legge elettorale e istituzionali, nel mese di marzo la riforma del lavoro, in aprile la pubblica amministrazione e in maggio il fisco».

Top secret sul lungo faccia a faccia con il capo dello Stato, solo un accenno sull’esito delle consultazioni di fine settimana: «C’è un impegno di allungamento della prospettiva politica di questa legislatura che si colloca in orizzonte naturale», ha detto con un’iperbole degna del miglior politichese degli anni ruggenti della prima repubblica. “Demolition man” appare provato, quasi a disagio di fronte alla stampa con la quale ha sempre avuto un feeling speciale: ha fretta di andare, spegne sul nascere il primo tentativo di domanda e gira i tacchi. Lo aspettano i colloqui di rito con i presidenti di Camera e Senato e «gli adempimenti burocratici» a Firenze dove rientrerà nel pomeriggio, probabilmente a bordo della Giulietta bianca con la quale ha varcato il cortile del Quirinale con dieci minuti di anticipo. Da qualche ora Renzi non è sereno: deve vedersela con il rompicapo della squadra di governo (sul quale Napolitano ha già detto di voler decidere le caselle chiave, a partire dall’Economia e dalla Giustizia), deve inccassare i primi “no grazie” degli amici come Barca e Baricco che non se la sentono di rischiare, deve rispondere al pressingdi Alfano che pretende la continuità  con le larghe intese lettiane («proporremo a Renzi di costituire un comitato che lavori sul programma. Giorno e notte se necessario. Punto per punto, in maniera dettagliata, su foglio Excel come dice lui»). E ancora, deve tamponare l’emorragia che potrebbe dissanguare la base e i circoli del partito, deve smorzare i mal di pancia della minoranza guidata da Pippo Civati che potrebbe non votargli la fiducia («Se Renzi fa l’alleanza con Alfano, nasce il governo di centrodestra in due giorni. E nasce anche senza dieci di noi»). Deve affrontare il danno d’immagine per il benservito dato a Letta, che non intende appendere gli scarpini al chiodo, su questo fronte i ben informati riportano gli echi di un corteggiamento serrato del capo dello Stato nei confronti dell’ex premier perché accetti un ministero. E poi la prima contestazione a tempo di record, che arriva puntuale da Fratelli d’Italia. Pochi minuti dopo l’arrivo al Colle del premier in pectore  decine e decine di militanti guidati da Giorgia Meloni hanno protestato per l’operazione di palazzo al grido di “Elezioni, elezioni”. Tra i cartelli esibiti in mezzo ai tricolori  anche una citazione renziana “Non sarò mai presidente del Consiglio senza essere eletto”.

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