Diritti umani, nessuno alza la voce con la Cina. E Kerry fa “l’eroe” parlando del web…

15 Feb 2014 18:48 - di Giovanni Trotta

Ci sono delle nazioni che possono fare tutto, nel campo dei diritti umani, e altre che non appena osano qualcosa, vengono crocifisse mediaticamente o con sanzioni. Il caso più eclatante è quella della Cina, dittatura ferocissima, con la quale però tutti i Paesi, specialmente quelli capitalisti, fanno affari di ogni tipo e da molti anni. Paese, la Cina, dove la pena capitale viene applicata da sempre e in modo massiccio – già, perché non si può neanche sapere il numero delle esecuzioni – senza che questo provochi fiaccolate, proteste e piagnistei da parte delle solite anime belle pronte a scendere in piazza quando la stessa identica cosa avviene in “Amerika”. Un doppiopesismo, soprattutto mediatico, che ogni giorno risulta più evidente. Così può anche accadere che, nel giorno dell’ennesima immolazione di un monaco tibetano – nazione invasa militarmente dalla Cina in cui i diritti umani sono stati aboliti nel silenzio dell’Occidente – il segretario di Stato americano John Kerry, dopo essersi incontrato con alcuni blogger critici del governo di Pechino, abbia coraggiosamente invitato la Cina a «sostenere la libertà di Internet». Questo è il massimo delle “sanzioni” che gli Stati Uniti mettono in piazza contro la dittatura liberticida di Pechino. «Chiaramente, noi pensiamo che con una maggiore libertà su Internet l’economia cinese diventerà più forte», ha aggiunto timidamente il segretario di Stato, che è stato ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping e da altri esponenti governativi. Nell’incontro, che è durato 40 minuti, i blogger hanno chiesto a Kerry di sostenere la libertà di Internet e ad appoggiare gli attivisti per i diritti umani. Uno di loro, Zhang Jialong, il cui microblog è seguito da 110mila persone, ha sostenuto che la situazione in Cina non è affatto migliorata negli ultimi anni, citando i casi di Xu Zhiyong, l’avvocato e attivista condannato a quattro anni di prigione in gennaio, e di Liu Xiaobo, il professore e premio Nobel per la pace che sta scontando una condanna a 11 anni di reclusione per “sovversione”. Jialong ha anche accusato alcune compagnie americane di aiutare i censori che gestiscono la cosiddetta Grande Muraglia di Fuoco, cioè il sistema di controlli che impedisce l’accesso ai siti ritenuti pericolosi dal governo tra cui Twitter, Youtube e Facebook. Kerry ha risposto che gli Usa «sollevano costantemente questi problemi con i loro interlocutori cinesi e che continueranno a farlo, ad ogni livello». Parole di maniera, banali frasi di circostanza, quando gli Stati Uniti, con la loro tecnologia, potrebbero rendere noto al mondo il numero e l’ubicazione delle centinaia di laogai (campi di concentramento dove si mettono i dissidenti) distribuiti in tutto il Celeste Impero. Anche l’appello per la libertà del web, a ben considerarlo, potrebbe essere stato sollecitato da Washington solo perché in questo modo si aprirebbero infinite possibilità economiche per le grandi multinazionali targate Usa. Tra un miliardo e mezzo di oppressi e un miliardo e mezzo di consumatori, l’America preferisce senza dubbio i secondi…

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