Da Renzi al prefetto, ecco perché il Valle va “liberato”. Ma gli okkupanti non ci stanno: il teatro resta nostro

19 Feb 2014 12:24 - di Valeria Gelsi

C’è il no del prefetto di Roma, ci sono i paletti della legge e della burocrazia e ora c’è anche la contrarietà del premier incaricato Matteo Renzi. Ma gli occupanti del Teatro Valle a Roma non si arrendono e continuano ad accampare diritti sullo stabile, di cui si sono impossessati più o meno tre anni fa, dopo lo scioglimento dell’Eti (Ente teatrale italiano). Per venerdì hanno convocato un’assemblea, in cui ribadiranno che vogliono l’assegnazione della struttura alla Fondazione Bene Comune, cui hanno dato vita. «Un prefetto non può assumere la responsabilità politica che spetta alle amministrazioni competenti, le quali hanno deliberatamente evitato di assumere una posizione», scrivono gli occupanti nella lunghissima lettera di convocazione dell’assemblea. Lì spiegano anche che per il prefetto «non sussistono presupposti giuridici» per il riconoscimento della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Come mai? Gli occupanti hanno indicato come sede lo stesso teatro, che però, al di là dei desiderata, non è di loro proprietà, ma resta proprietà del demanio. La scelta viene rivendicata e poi spiegata con un discorso a cavallo tra il giuridico e filosofico su proprietà e uso di un bene, il cui senso in estrema sintesi è che gli occupanti, che usano il Valle, lo hanno salvato dall’immobilismo della proprietà. Questa tesi, però, al di fuori della cerchia dei suoi sostenitori, non solo non trova grande appoggio, ma trova aperta contrarietà. C’è il no giuridico del prefetto e c’è il biasimo politico-amministrativo del premier incaricato, motivato sulla base di un’esperienza vissuta da sindaco. «Quando mi dicono che per salvare la cultura si deve fare come il teatro Valle a Roma, dico che ci sono alternative possibili. Il teatro era nelle stesse posizioni del teatro del Maggio a Firenze, che ha visto l’amministrazione intervenire. Oggi quel teatro, che il teatro più antico d’Europa, ha una propria produzione», ha detto qualche giorno fa Renzi. È stato poi il presidente dell’Agis (Agenzia generale italiana spettacolo) del Lazio, Massimo Monaci, a spiegare che la strada corretta per l’assegnazione è un bando pubblico e che qualsiasi altro tipo di soluzione finirebbe per penalizzare chi rispetta le regole. Ma da considerare anche c’è il dato contabile. I conti in tasca al Valle – o meglio a chi finisce per farsene carico economicamente – li ha fatti Il Tempo. Secondo il quotidiano romano «la mancata e regolare bigliettazione provoca un buco di circa un milione di euro», che grava tanto sul pubblico (e quindi su tutti i cittadini) quanto sui privati. Oltre ai mancati incassi, che fanno voce a sé, infatti, vanno calcolati i danni all’indotto: 100mila euro l’anno persi dalla Siae; 70mila dai vigili del fuoco, che garantivano la sicurezza degli spettacoli; 500mila euro di compensi mancati per le compagnie teatrali; 90mila euro sborsati ancora dal Comune di Roma per le bollette della luce. In tempi di tagli, ristrettezze e spending review anche questo aspetto non è marginale, soprattutto per chi nel fatto che “con la cultura si mangia” ci crede.

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