Convulsioni nelle istituzioni: Napolitano nella bufera, Letta e Renzi in collisione. Chi comanda in Italia?

11 Feb 2014 9:17 - di Gennaro Malgieri

Il “caso Napolitano” s’innesta nella crisi di governo (chiamatela come volete, ma è indiscutibile che il governo sia in crisi). Ed il sistema politico cortocircuita per l’ennesima volta. Con un’aggravante rispetto agli episodi precedenti: adesso non ha più un punto di riferimento al quale aggrapparsi per uscire dalla palude nella quale si ritrova. I poteri dello Stato confliggono e paurosamente vacilla la legalità democratica. A prescindere da come  si vuole interpretare l’attivismo del presidente della Repubblica nell’estate del 2011, resta il fatto che il solo aver pensato ad una defenestrazione pilotata in del governo in carica, forte di una maggioranza tutt’altro che a rischio, getta un’ombra sull’operato di Napolitano che difficilmente le sue lettere di smentita o precisazione potranno diradare. L’esito di quei colloqui con Monti sappiamo che cosa hanno prodotto e sorprende non poco il fatto che, pur correndo l’alea del sospetto sui comportamenti del Capo dello Stato e sul suo ruolo nel novembre 2011 nel far dimettere Berlusconi, questi sia stato il maggiore e più convinto sponsor di Napolitano stesso per il secondo mandato al Quirinale. Ricordate? Erano i giorni in cui il Cavaliere parafrasava il motivetto composto per lui: “Meno male che Giorgio c’è”.

Che Napolitano per tentare di mettere un po’ d’ordine nel caos politico ed istituzionale italiano si sia dovuto spendere anche sul piano internazionale è fuori discussione. Ma se il suo necessario interventismo abbia superato i limiti costituzionali è tutto da appurare e non sarà certo facile trovandosi davanti ad  un conflitto nella maggioranza, animato anzi dall’azionista di riferimento della maggioranza, qual è il Pd, che in questi giorni sta mettendo a serio rischio la tenuta del governo.

Che prima o poi, al di là degli iniziali salamelecchi di prammatica, Renzi e Letta entrassero in  rotta di collisione era inevitabile. Non poteva durare a lungo la finta luna di miele. Il segretario eletto voleva dire la sua e dettare la linea al governo; il premier; la cui legittimazione al governare gli deriva dalla scelta del Quirinale e dalla fiducia parlamentare, immaginava che il nuovo capo del partito avrebbe assecondato ciò che sembrava intangibile, vale a dire i patti sottoscritti con le forze politiche, e sarebbe stato alla larga dagli affari di Palazzo Chigi aspettando in momenti propizio per intervenire.

Renzi non poteva evidentemente  dormirci la notte nel constatare la divaricazione che si a dava approfondendo di giorno in giorno tra partito e governo. Risoltosi a dare uno scossone all’immobilismo di Letta è entrato a gamba tesa nella questione delle riforme, di fatto azzerando il Ministero guidato da Quagliariello, il lavoro dei Saggi nominati dal Quirinale e quello svolto dalle forze politiche per tentare di affrontare il problema in maniera soft: troppo soft, deve aver pensato il segretario del Pd al punto che nessuno si era accorto che qualcosa si muoveva.

Ha, dunque, invitato il leader dell’opposizione, ha stipulato un accordo con lui sulla legge elettorale e su alcune riforme costituzionali, se n’è fregato delle critiche e ha messo di fatto in mora il governo. Non sappiamo quanto apprezzato da Napolitano che ha immediatamente si è pronunciato sull’intoccabilità di Letta (anche in questo, forse, mostrando un eccesso di zelo). Ma Renzi, pur mantenendo ottimi rapporti con il Quirinale, paventando l’irrigidirsi delle posizioni, ha  invocato un cambio di passo dell’esecutivo. Traduzione: o lui a Palazzo Chigi o le elezioni. L’alternativa potrebbe essere un Letta bis, con tutte le incognite che dall’operazione derivano.

La matassa come al solito dovrebbe dipanarla Napolitano. Ma con la tegola che gli è piombata sulla testa ha la forza ed il potere per farlo? La procedura di impeachment promosso dai grillini va avanti; Forza Italia non è ancora arrivata a tanto, ma la sua comprensibile irritazione è soltanto l’anticipo di iniziative che non potranno che essere dirompenti; la Lega non si sottrae e si mostra disponibile a mettere in discussione il presidente della Repubblica. In questo quadro, chi e come deciderà delle sorti del governo? E’ più probabile che salti la baracca e si vada a votare a maggio con successiva inevitabile elezione del nuovo capo dello Stato. Con tanti saluti alle riforme ed alla ritrovata  concordia tra le forze politiche alla quale non aveva creduto nessuno. Già, ma la legge elettorale? Fare presto è un imperativo categorico. Per tutti.

 

 

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