C’è un’Italia incredula e annichilita, che assiste impotente ai balletti di Corte
Un tappeto di quasi seimila rose per ricordare il numero delle imprese piemontesi che chiedono aiuto e riforme. Lo hanno steso, a due passi da Montecitorio, in una giornata illuminata da un sole primaverile, imprenditori e operai scesi nella Capitale per manifestare disagio e disperazione. È il segno di una Italia che soffre terribilmente gli effetti della crisi. Un’Italia scalfita, incupita, ferita. Un’Italia che ha perso fiducia in chi governa e che fatica a ritrovarla in se stessa. Un’Italia che guarda attonita alle manovre di palazzo. Un’Italia incredula e annichilita, che assiste impotente ai balletti di Corte, dove la Corte è popolata di guitti e saltimbanchi, di traditori e di traditi, in un carosello effervescente dove si replica l’eterna anomalia del Bel Paese. Un Paese, dove si può diventare premier, senza designazione popolare e mandare a casa un governo, anche se a guidarlo è un esponente dello stesso partito. Scrive Le Monde che gli italiani hanno una fantasia molto fertile nel trovare definizioni per le ripetute crisi di governo così come nel declinare le varianti e i tipi di pasta in cucina. Torna in auge, in tutta la sua spocchiosa irriverenza, il gusto francese nel ridicolizzarci. Come se, da quelle parti, non avessero le loro gatte da pelare e niente di cui vergognarsi. Spocchia e irriverenza a parte, dobbiamo però ammettere che per un osservatore straniero risulta davvero difficile districarsi nella complicatissima matassa in cui è arruffata e aggrovigliata la politica italiana. Se i numeri hanno un senso in politica per definire un certo grado di affidabilità e di stabilità, non possiamo certo mostrare vanto a Bruxelles del fatto che , nel corso della legislatura ormai giunta al termine, ossia negli ultimi cinque anni, abbiamo inviato nel Consiglio europeo ben quattro presidenti del Consiglio. Un record assoluto. Il bello è che l’impresa di Renzi viene presentata, non solo dal diretto interessato, come un necessario e inevitabile “segno di discontinuità”, rispetto al governo del predecessore. Staremo a vedere. Noi che non siamo mai stati entusiasti di Letta, abbiamo mostrato scetticismo sulle “larghe intese” e non ci siamo privati di esprimere il nostro punto di vista critico su alcuni interventi prodotti dal suo governo, dobbiamo onestamente riconoscerne il tratto distintivo di un galantuomo d’altri tempi. La sua uscita di scena , per come è stata concepita, perseguita e tenacemente perpetrata, se da un lato conferma tutta la spietatezza della politica, ( e riscatta chi l’ha subita), dall’altro inserisce elementi di novità i cui effetti non tarderanno ad emergere. Con un particolare: che allo stato nessuno può dire se saranno effetti positivi. Cavalcare l’ambizione, per come l’ambizione risulta declinata nel nuovo verbo renziano,può apparire un eccezionale motore per dare dinamicità al Paese ed eliminare la ruggine che ne comprime la ripresa, ma può rivelarsi anche un pericoloso arnese che offusca l’intelligenza, se si pesta in un mortaio vuoto di idee originali, nuove e, ovviamente, realizzabili. E di idee originali e nuove, al momento, non se ne vedono. Quanto alle criticità da affrontare, il blok notes è pieno zeppo. Alcune le ha messe in evidenza il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, inaugurando il nuovo anno giudiziario. Sul fronte internazionale , l’effetto combinato di una minore espansione degli scambi mondiali e di un cambio dell’euro più forte indebolisce le prospettive delle esportazioni italiane. Qui si parla di un settore strategico per la ripresa. Un settore che, fino a poco tempo fa, segnava indici positivi e in espansione. Sul fronte bancario l’accesso al credito ristagna. Il chè imbriglia la ripresa e rende sterile anche quei pochi, sparuti segnali trimestrali in controtendenza. Insomma, per la Suprema Corte di controllo contabile “la politica di bilancio in Italia si muove con perduranti difficoltà tra le esigenze, apparentemente contrastanti, della crescita economia e del riequilibrio della finanza pubblica”. Una dicotomia che porta, inevitabilmente, ad un peggioramento del bilancio pubblico e a una restrizione degli spazi di manovra per le politiche di sostegno allo sviluppo. Se poi a questi elementi negativi si aggiungono una diffusa corruzione, una perdurante evasione fiscale, una non ancora definita politica di interventi per razionalizzare e ridurre la spesa pubblica, riassorbendo inefficienze e distorsioni gestionali, si colgono molti degli aspetti poco edificanti in cui versa il Paese. Tra i tanti malanni che strozzano le possibilità di ripresa, la Corte dei Conti indica anche “il peso dell’intervento pubblico nell’economia e sulla corretta allocazione delle risorse finanziarie”. Il suggerimento è di rivedere l’intera architetettura su cui poggia la rete dei servizi pubblici, a partire dalle municipalizzate e dalle società partecipate dagli enti pubblici. Si tratta, in sostanza, di ripensare “il perimetro dell’intervento pubblico e delle modalità di prestazione e di accesso ai servizi pubblici, in un contesto sociale e demografico profondamente mutato”. Ci fermiamo qui. L’elenco potrebbe continuare. Sarà interessante capire se, al netto delle battute e dei luoghi comuni, questi argomenti troveranno spazio nella agenda del prossimo governo. Soprattutto,se troveranno soluzioni adeguate. Sfrontatezza e ambizione potrebbero non bastare.