Un giornale di Hong Kong: sbranato dai cani lo “zio scomodo” del dittatore nordcoreano Kim Jong-Un
Che la Corea del Nord fosse uno dei regimi in cui i diritti umani non vengono tenuti in nessuna considerazione, lo si sapeva da tempo. Però la notizia rimbalzata da Hong Kong ha veramente dell’incredibile, anche considerando che Pyongyang dal 1991 fa parte delle Nazioni Unite. Emergono infatti dettagli agghiaccianti sull’esecuzione avvenuta a dicembre scorso del potente zio del leader nordcoreano Kim Jong-Un, detto quest’ultimo “il Grande Successore”. Secondo varie fonti di stampa, che citano un giornale di Hong Kong vicino al Partito comunista cinese, Jang Song-Thaek sarebbe stato gettato in una gabbia e sbranato vivo da un branco di 120 cani affamati. Altro che Gengis Khan, altro che Pol Pot: se la notizia fosse vera, ci troveremmo di fronte a un regime mostruoso basato sul culto folle della personalità. Passi – si fa per dire – sulla stampa imbavagliata, passi sui campi di concentramento piazzati un po’ su tutto il territorio nazionale, passi per la chiusura al turismo, passi anche per gli esperimenti nucleari minacciosi, ma le torture medioevali dovrebbero essere bandite nel Terzo Millennio. Lo zio del leader della Corea del Nord è stato eliminato perché voleva controllare le esportazioni di carbone, un settore molto lucroso. Lo asserì il capo dei servizi di informazioni sudcoreano alcuni giorni dopo le “epurazioni” al vertice del regime. Jang Song-thaek, tutore del leader nel primo periodo del suo governo è stato arrestato, sottoposto a un processo lampo e fucilato- così si sapeva fino a oggi – il 12 dicembre per complotto e corruzione. Secondo quanto era trapelato fin a questo momento, l’eminenza grigia del regime avrebbe perso in una lotta di influenza ingaggiata con i generali. La notizia dell’originale esecuzione è stata riportata da media americani come Daily Beast ed Nbc e britannici come il Daily Mail, citando appunto il giornale di Hong Kong Wen Wei Po, ma senza trovare ovviamente conferme ufficiali. La Nbc ha tuttavia ricordato che la Corea del Nord non ha mai specificato le modalità della morte di Jang. Secondo lo stesso giornale, addirittura altri cinque ex collaboratori di Kim Jong-un sarebbero stati giustiziati in questo modo atroce, sotto gli occhi del capo del regime, del fratello e di 300 altri funzionari.
Nam Jae-Joon, capo dei servizi sudcoreani, ritiene che Kim Jong-un, che ha una trentina di anni, non abbia problemi nel controllo del potere due anni dopo il suo arrivo al vertice dello Stato. E ora capiamo anche il perché di questo “consenso”. Insomma, rispetto alla Corea del Nord, le purghe staliniane sembrano normale dialettica politica: centinaia di persone vicine all’ex numero due del regime sarebbero state portate nei campi di lavoro, per prevenire disordini, diffondendo il terrore nel più isolato tra i Paesi asiatici. Le nuove testimonianze sono state raccolte dal quotidiano on-line Daily Nk, che fa base in Corea del Sud e diffonde le notizie che filtrano dalla rigida censura nordcoreana. Secondo una fonte di Pyongyang, in particolare, la notte del 13 dicembre, il giorno dopo l’esecuzione di Jang, uomini armati del ministero della Sicurezza avrebbero prelevato senza preavviso dalle loro case della capitale diverse centinaia di suoi parenti, stretti e lontani, per trasferirli con ogni probabilità nei campi di prigionia politica. L’obiettivo del regime è di scoraggiare il dissenso ed eventuali disordini. Nel Paese, secondo quanto trapela dall’interno, prevale la paura. La preoccupazione maggiore è quella di non attirare l’attenzione su se stessi perché, sottolinea ancora la fonte, il regime può cogliere qualsiasi cosa a pretesto per incriminare qualcuno. In tanti rinunciano persino ad andare al mercato. La Corea del Nord, non a caso, è stata definita da Amnesty International come un «gulag a cielo aperto». Vi sarebbero nella nazione almeno duecentomila detenuti, bambini compresi. Inoltre l’esercito di un milione di soldati e quattro milioni di riservisti, ne fa lo Stato più militarizzato al mondo. Per Amnesty e le diverse associazioni di rifugiati nordcoreani, tra l’altro, le porte dei campi di rieducazione possono aprirsi molto facilmente: ad esempio, guardando programmi tv stranieri, possedendo una Bibbia, o se si ha la sfortuna di avere un familiare ritenuto politicamente indesiderabile. Come lo zio Jang. La Corea del Nord è sostenuta all’80 per cento dal commerciocon la Cina e dal 20 per cento con gli scambi con i cugini sudcoreani.