Rubata l’ampolla con il sangue di Papa Wojtyla. Si ripete la storia della profanazione di reliquie sacre…

27 Gen 2014 12:44 - di Priscilla Del Ninno

Quando la malavita non si arrende neppure di fronte al sacro. Quando si arriva a profanare l’edicola che custodisce quelli che dovrebbero essere intoccabili simboli della religiosità. Quando si supera un intollerabile limite, accade quello che è successo due notti fa in un piccolo santuario abruzzese molto caro a Papa Wojtyla, e per cui oggi oltre cinquanta carabinieri stanno setacciando passo passo la zona intorno alla piccola chiesa di San Pietro della Ienca (L’Aquila), sotto il Gran Sasso, alla ricerca della reliquia con il sangue di Giovanni Paolo II, rubata insieme ad una croce. Sul furto – per cui è stata aperta un’inchiesta della Procura dell’Aquila – si sta indagando con dispendio di energie e di mezzi: la battuta si avvale infatti anche di cani cerca persone. Ad ora, infatti, le indagini dei militari, guidati dal comandante provinciale Savino Guarino, avrebbero ipotizzato la possibilità che i ladri si siano disfatti dell’oggetto sacro. O almeno, questo si spera, nell’auspicio di poter rientrare in possesso della preziosa refurtiva: cosa che non cancellerebbe, comunque, la vergogna del gesto dissacrante. Una violazione doppiamente deprecabile se si considera che la zona montana dove si trova il piccolo santuario era molto cara al papa polacco, che spesso raggiungeva il Gran Sasso, ritirandosi in quei luoghi per passeggiare, raccogliersi in meditazione e anche sciare. E allora Corriere, nel ribadire le ovvie ripercussioni negative sul turismo locale dell’insensato gesto, ha ricordato anche che sono «tre sole al mondo le reliquie con il sangue di Wojtyla».

Dunque, quanto paradossalmente preconizzato ormai quattordici anni fa dal regista Carlo Mazzacurati – scomparso nei giorni scorsi – nel tragicomico La lingua del santo, è accaduto davvero. Certo, lo scenario abruzzese del furto non ripropone i Colli Euganei e la laguna veneta del film, ma il soggetto è praticamente identico purtroppo. Non a caso, peraltro, già la pellicola si ispirava a un episodio di cronaca avvenuto in una notte del 1991, quando furono trafugate dalla basilica del Santo le reliquie del mento e della lingua di Sant’Antonio da Padova. L’atto, peccaminoso oltre che criminale, fu rivendicato in quel caso dalla Mala del Brenta, e giustificato con l’intenzione di ordire un ricatto nei confronti dello Stato: per fortuna, però, quella volta la singolare refurtiva fu ritrovata due mesi dopo in circostanze misteriose nei pressi della capitale. Speriamo, allora, che anche questo increscioso furto si concluda con la restituzione del maltolto, come accaduto nei casi precedenti, reali o cinematografici che siano…

 

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