Michele Serra scrive sul rapporto padri-figli. E un falso Serra jr lo prende in giro su Twitter: manderò alla Feltrinelli le fatture del mio analista

25 Gen 2014 12:15 - di Renato Berio

Non c’è padre o madre che non si lamenti dei figli adolescenti o ventenni. Un tempo rivoluzionari, oggi sbracati. Un tempo impegnati, oggi “sdraiati”. E Gli sdraiati è appunto il libro di Michele Serra dedicato al figlio. Un titolo che ha scalato le classifiche ed è diventato un caso letterario, sia perché Serra processa anche i padri post-sessantottini sia perché gli adolescenti-giovani non si riconoscono affatto nel ritratto del genere bamboccionesco. In più, il libro di Michele Serra fa discutere perché non si capisce bene, come sempre accade per i libri più venduti, se è un concentrato di luoghi comuni o se qua e là è possibile cogliere qualche sprazzo di genialità. I “ggiovani” visti dai padri che non sanno più fare i padri. Ecco il succo. Letteratura per sinistra malinconica ma non solo.

A sdrammatizzare il plumbeo rapporto padri-figli arriva però l’account aperto da un misterioso utente su Twitter e che si chiama appunto “figlio di Michele Serra”. Il personaggio così si presenta: “Mio padre fa il giornalista e ha scritto un libro su di me. Adesso a scuola mi prendono in giro”. Il primo tweet è partito giovedì sera (“Sto scrivendo un libro, la storia di un padre che lascia l’asse del water alzata e poi quando sua moglie s’incazza lui dà la colpa al figlio”) e l’anonimo “figlio” di Michele Serra è già un personaggio seguitissimo sul web.

Roberto Cotroneo nel recensire il libro di Serra tocca vette di lirismo: “Il figlio diciottenne del narratore appariva completamente incapace di essere nel mondo. Incapace di comunicare, incapace, ancora, di condividere valori, storie collettive. Un giudizio sprezzante, ironico e sarcastico mi sembrava invadesse il libro con un peso che annullava tutto, appiattiva ogni volontà di comprensione, ogni pietà umana. Da un lato un uomo, un «borghese di sinistra», capace di interpretare valori, giustizia e storia. Dall’altro un felposo giovanotto, un po’ rapper un po’ egoista, che non ascolta nessuno, che dorme fino al pomeriggio inoltrato, che non sa cogliere il bello della vita, come la vendemmia sulle Langhe, come l’agognata gita al Colle della Nasca, 2700 metri di altezza in un panorama meraviglioso. Un borghese di sinistra che giudica e si lamenta di non essere ascoltato, di non ricevere nulla in termini di affetto, che dà quello che vuole e non sa cosa poter ricevere”. Da Twitter il “figlio” replica: “Pantaloni con il cavallo basso e berretto da rapper? Mica siamo a carnevale”.

Ma il vero spasso è stato il commento del “figlio” all’intervista del padre nel salotto di Daria Bignardi, prima puntata de Le invasioni barbariche. Protesta: “Ma a me quando mi invitate? Avrò pure io diritto a difendermi, diobono”. Minacce alla Feltrinelli: “C’è poco da ridere, ormai sono lo zimbello del mio liceo.  Le fatture del mio analista le manderò a voi”. Proposta: “A voi di Einaudi interessa un romanzo, il monologo di un adolescente che svela l’orribile vita privata del padre, noto giornalista?”.  Epilogo: “Ma dannazione! Non lo cantava anche Dylan che padri e madri dovevano farsi i cazzi loro”. Rivelazione: “Fra poco papa’ torna da Le invasioni. Nascondo le Gesammelte Werke di Marx e tiro fuori la PlayStation: basta poco a farlo contento”. Dubbio: “Papà scusa hai mica visto le mie cartine lunghe? Le hai prese tu?”.

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