La Francia dà il via libera alla cannabis terapeutica. In Italia partiti divisi sulla legalizzazione

9 Gen 2014 13:15 - di Valeria Gelsi

L’agenzia per i farmaci francese ha autorizzato la vendita in Francia del primo medicinale a base di cannabis. La notizia è stata annunciata oggi da un breve comunicato del ministero della Sanità, che parla di inizio della commercializzazione del Sativex nel 2015. Si tratta

di uno spray per via orale, indicato soltanto per i pazienti affetti da sclerosi a placche per alleviare «le gravi contrazioni resistenti agli altri trattamenti». Ieri, a far sapere che aveva autorizzato l’uso della cannabis a scopi terapeutici, era stato lo Stato di New York, il ventunesimo ad assumere una decisione del genere in un’America in cui ormai alcuni governi locali hanno legalizzato anche i coffee shop, ovvero l’uso della cannabis a scopo ricreativo. Proprio su questo fronte si concentra il dibattito italiano, rilanciato un paio di giorni fa da un tweet antiproibizionista dell’assessore lombardo della Lega, Gianni Fava, e dalla presentazione di un disegno di legge del senatore Pd Luigi Manconi per la depenalizzazione della «coltivazione» e della «cessione» della cannabis indiana. Da lì sono intervenuti un po’ tutti, creando anche scossoni all’interno dei partiti (nella Lega Salvini ha nettamente preso le distanze da Fava, Renzi ha attestato la segreteria del Pd su una posizione molto più cauta di quella di Manconi) e provocando anche prese di posizione inaspettate come quello di Vittorio Feltri, che sul Giornale ha sostenuto che «la marijuana, per quanto non sia preferibile all’aerosol, non è più nociva di un bicchiere di vino o di un grappino». Un po’ la tesi sostenuta anche da Manconi che, con il deputato Sandro Gozi, ha firmato un intervento sull’Unità di oggi. «Coltivare una o più piantine in casa, esclusivamente per il consumo privato, non ha alcun impatto negativo sulla salute di chi lo fa e non crea danni a terzi», hanno scritto, aggiungendo che «il nostro Paese prigioniero di una visione antiquata e antiscientifica che tende a uniformare ogni tipo di droga». Chi, però, con gli effetti dell’uso di droghe ha a che fare ogni giorno la pensa esattamente all’opposto. La prima a intervenire è stata la comunità di San Patrignano, i cui rappresentanti si sono detti «molto preoccupati» e «sbigottiti» per «continue prese di posizione dettate spesso più da orientamenti ideologici che da evidenze scientifiche». Su Libero di oggi, invece, a parlare è don Chino Pezzoli della Fondazione promozione e solidarietà umana, che dal 1980 si occupa di tossicodipendenze. «La legalizzazione della cannabis rappresenta un’ulteriore spinta al consumo», ha scritto, in un articolo in cui invita i politici alla prudenza. Ma don Pezzoli non si è limitato a presentare le sue opinioni e la sua esperienza personale. Ha ricordato che «la cannabis di leggero non ha proprio niente» sulla base di dati scientifici: «Negli ultimi anni si è passati dal 4 al 25% di Thc: lo spinello più forte, chiamato skunk, può provocare da solo un’overdose, anche senza l’aggiunta di altre sostanze». Una posizione simile a quella degli addetti ai lavori è stata espressa oggi anche dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che si è detta «assolutamente contraria alla legalizzazione delle droghe leggere», puntando sia sul tema del rischio per la salute sia su quello educativo. I portatori di «una visione antiquata e antiscientifica», per usare le parole di Manconi, sarebbero dunque non i proibizionisti, ma gli antiproibizionisti perché, per dirla con don Pezzoli, alla base del le loro posizioni «resta un elemento culturale diffuso, quello di una generazione di quarantenni e cinquantenni che confonde il proprio passato con il presente dei giovani, che è rimasta indietro quanto a conoscenze e che ha fatto di un generico permissivismo e ribellismo la sua filosofia di vita».

 

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