Italia: tasse sulle imprese da incubo, stipendi dei burocrati da sogno

4 Gen 2014 19:49 - di Aldo Di Lello

Il fatto che le imprese e i lavoratori italiani siano tra i più tartassati d’Europa è cosa ampiamente nota. È però una notizia (assai triste) apprendere che nel corso del 2013 il carico delle tasse sui produttori è ulteriormente salito, raggiungendo livelli da brivido: tra il 53 e il 63 per cento. A risentirne sono in particolare le aziende con meno di dieci addetti, che rappresentano la bellezza del 95 per cento del totale delle imprese. A mettere il dito sulla piaga è la Cgia di Mestre, che ha diffuso i dati di una ricerca sull’inasprimento fiscale nell’anno appena concluso. Non si vede quindi su quali basi Letta e Saccomanni possano fondare il loro fin troppo ostentato ottimismo sulla ripresa economica che dovrebbe caratterizzare il 2014.  Dovremo ringraziare la “locomotiva” americana  ripartita nel 2013 e il dinamismo ancora elevato dei paesi del  Bric se l’economia italiana potrà agguantare quell’1 per cento di crescita stimato dal governo. E sarebbe comunque un miracolo, con questi chiari di luna. Perché le possibilità di crescere,  per un sistema economico gravato da un livello fiscale intollerabile, sono prossime allo zero.

Più che giustificato è il sarcasmo del Centro Studi di Confindustria che, in un altro rapporto diffuso in questi giorni, parla di un fisco volto a «giocare contro» le imprese. Evasione, pressione fiscale,  e normativa complessa creano, secondo Viale dell’Astronomia,  un contesto «sfavorevole»  all’attività d’impresa e si traducono in minore competitività e minore attrattività del Paese. Anche qui, in riferimento alla dinamica complessiva degli ultimi anni,   vengono forniti dati da brivido: considerando il  sommerso, «la pressione fiscale effettiva che grava sui contribuenti onesti in Italia sarebbe pari al 56,2% del Pil». Se poi si «considera l’ammontare complessivo delle imposte pagate dalle imprese, quantificato annualmente dalla Banca mondiale, per il 2012 il totale pagato dalle imprese italiane è il sedicesimo più elevato al mondo: pari al 65,8% degli utili». Sono dati da economia parasovietica. E ci vuole altro di una “ripresina” ottenuta senza nostro effettivo merito per avviare una effettiva tendenza alla crescita. Ci aiuterà Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, a individuare i rami secchi del bilancio pubblico e a trovare le risorse necessarie a ridurre il carico sul lavoro e sull’impresa? L’augurio di tutti (o quasi) è che i tagli siano incisivi e  seri.  Ma  soprattutto equi. Un semplice confronto di dati tra Italia e Gran Bretagna potrà fornire la misura esatta dell’impresa da compiere. Le tasse sul lavoro sono, nel Regno Unito, quasi la metà di quelle italiane. Nello stesso tempo, vale la pena ricordare che, come ha riferito il sito economico lavoce.info, il livello degli stipendi dei superburocrati italiani è circa il doppio di quello dei loro colleghi britannici. E dire che i dirigenti pubblici al di là della Manica avrebbero tutto il dritto di alzare il “prezzo”,  visto il forte richiamo esercitato dalla City londinese. In Italia invece siamo ancora fermi all’800. Con un potere politico debole e con poteri extrapolitici forti e inossidabili, la spending review potrà mai essere una cosa seria?

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