Votare da destra alle primarie del Pd, perché no? Anche questa è democrazia. E poi si scoprono cose strane…
Io mi sono iscritto, ho scelto il seggio, ho sottoscritto il manifesto del Pd e andrò a votare. Poi, magari, alle prossime elezioni cambierò idea, che male c’è? Perché a me le primarie piacciono, ma piace ancora di più scoprire se funzionano. In effetti mi è bastato poco per capire che il genetico masochismo del Pd ha previsto, come al solito, un meccanismo punitivo nei confronti di chi fa le cose per bene. Chi si registra on line (www.primariepd2013.it), lascia le generalità e sceglie il seggio, dando modo all’apparato di organizzarsi e di limitare le eventuali file, paga di più (2,50 euro) di chi invece si presenta al gazebo all’ultimo secondo e deve fare tutta la trafila burocratica prima di votare per le primarie. Per lui, c’è lo sconto: 2 euro. Tafazzismo a parte, stavolta le urne del Partito democratico saranno aperte a tutti, perfino a quelli che non votano Pd, a parte le prevedibile ondate di cinesi, immigrati e banchieri. Tutto fa brodo, quando si rischia il flop di partecipanti. Secondo un recente sondaggio domenica ai gazebo almeno un 8% di votanti sarà grillina, un altro 3% di altri partiti del centrosinistra che non sono il Pd. Dunque, saranno in tanti a sottoscrivere quell’impegno politico a favore del Pd, per poi forse decidere diversamente al momento di andare nelle urne vere, quelle (lontanissime) delle Politiche o quelle primaverili delle Europee. Perché – come cantava Gaber – la democrazia è partecipazione e anche la scelta di un futuro leader, di una eventuale futura coalizione che eventualmente dovesse andare al governo, è tema che interessa tutti, anche quelli del fronte opposto che di primarie non ne hanno mai sperimentate sul serio. In questo quadro l’idea che un elettore di centrodestra possa recarsi domenica ai gazebo non va considerato un sabotaggio, anzi, un momento di attenzione alla politica. Come quello di alcuni giovani di Forza Italia che a Milano hanno organizzato un gazebo di sostegno alla candidatura del “rottamatore” Renzi. Con un motivo banale, ma politico, molto politico: favorire la caduta del governo Letta. È un delitto, un inquinamento dei pozzi, un atto di sciacallaggio? No, un’iniziativa politica, è la democrazia, bellezza. Eppure solo un anno fa, alle precedenti primarie del Pd che incoronarono Bersani (poi sappiamo tutti com’è andata a finire), autorevoli politologi si esprimevano così sul tema della partecipazione “da destra”. «Sarebbe un atto scorrettissimo», tuonava Giovanni Sartori, smentito da Roberto D’Alimonte, che vedeva in questa tendenza un avvicinamento a quanto accade negli Stati Uniti «dove è diminuito l’elettorato che si identifica con i repubblicani e con i democratici ed è aumentato quello indipendente». Il punto, però, è semplice: se il leader del centrodestra, di fatto, lo sceglieranno i magistrati a colpi di interdizioni, nel chiuso dei Palazzo di Giustizia, cosa c’è di così scandaloso se nella scelta del leader del principale partito italiano partecipino dei normali cittadini di altra fede politica a colpi di scheda, nel chiuso dei gazebo?