Stavolta D’Alema ha ragione: parli di una donna e si scatenano le accuse di sessismo
Una rivolta sul web, la consigliera di parità della Regione Puglia che gli tributa quello che ritiene il peggior paragone possibile («sembra Berlusconi»), Pippo Civati che lo invita a ritirarsi a «vita privata». S’è scatenato un putiferio contro Massimo D’Alema, colpevole di aver paragonato l’assessore pugliese Elena Gentile a un pugile. «Dei candidati l’unica che somiglia a un pugile è Elena Gentile…», ha detto l’esponente del Pd, durante un convegno a Foggia sulle primarie. Ma come gli è venuto in mente? Lo spunto lo ha offerto un manifesto per le primarie che ritraeva lui e l’antagonista Ivan Scalfarotto come due pugili. Mancava all’appello, però, la terza concorrente, la Gentile, appunto, e per riequilibrare D’Alema ha fatto quella battuta. A suo modo voleva essere una carineria, come ha spiegato lo stesso ex presidente del Consiglio. «Chiunque abbia assistito all’incontro dell’altro giorno – ha spiegato D’Alema – ha capito che io mi riferivo al carattere e alla combattività di Elena Gentile. Si trattava di un commento scherzoso a un’immagine nella quale eravamo raffigurati come sfidanti solo Scalfarotto ed io, con una evidente discriminazione nei confronti di Elena Gentile, che io rispetto e ho sempre rispettato». La spiegazione non è bastata e anzi le polemiche hanno continuato a crescere, con Pippo Civati, alla cui cordata appartiene la Gentile, che è arrivato a dire che D’Alema non dovrebbe candidarsi alle europee. «A questo punto – ha detto – è meglio che lasci la politica e si ritiri a via privata». «La battuta è degna del peggior Berlusconi», ha aggiunto Civati, per il quale «questo è un Paese con una grave “questione maschile”, come l’ho definita nel mio documento congressuale, e un commento di questo genere, inaccettabile per un esponente del Pd, lo dimostra». Qualche ora dopo è intervenuta anche la portavoce di D’Alema, Daniela Reggiani, per tentare di chiudere definitivamente una giornata di polemiche definite – diremmo giustamente – «grottesche». È chiaro che nella vicenda ha pesato il clima da vigilia elettorale delle primarie. Ma vi si intravede anche qualcosa in più. La Gentile è una signora di sessant’anni, che non sembra indulgere a trucco e vanità e che porta i capelli appena sopra le spalle, con un taglio un po’ demodè. L’impressione che si ricava da tutta questa vicenda è che gli accusatori di D’Alema abbiamo pensato a questo, che abbiano immediatamente (nel senso etimologico della parola) associato la battuta all’aspetto della sua destinataria e non a quel carattere combattivo che invece gli ha voluto riconoscere D’Alema e che – supponiamo – è stato anche alla base della sua carriera politica. L’impressione che si ricava da tutta questa vicenda è, insomma, che, al di là delle asprezze elettorali, le voci che si sono levate nel Pd e in certi ambienti votati alla crociata paritaria siano l’espressione di una forma di ossessione sessista, che fa vedere la discriminazione anche dove non c’è e che si basa su criteri estetici molto più di quanto faccia chi si ritrova sul banco degli imputati. Non un buon servizio al paese e all’opinione pubblica, visto che proprio in questo modo si finisce per svilire le serie battaglie per la parità di genere e, quindi, per alimentare la «questione maschile» che si vorrebbe dirimere.