La Franzoni chiede di scontare la pena a casa. Ma la legge non è “uguale” per tutti?
Raffaele Sollecito in vacanza ai Tropici. Anna Maria Franzoni in attesa che venga soddisfatta la richiesta di detenzione domiciliare a casa. Ma la giustizia non dovrebbe essere uguale per tutti? Il vecchio adagio ormai non suona più semplicemente desueto, ma è addirittura irrimediabilmente smentito dai fatti. Fatti di cronaca efferati, culminati in sentenze inadeguate, se non addirittura contraddittorie: come quella decretata in Corte d’appello a favore dell’innocenza di Sollecito e Amanda Knox, già condannati in primo grado per l’omicidio di Meredith Kercher, rispettivamente a 25 e 26 anni di reclusione, e per i quali è attualmente in corso a Firenze un processo d’appello bis, nel quale l’accusa è tornata a chiedere una condanna a 26 anni. Una giustizia che funziona a corrente alternata, la nostra, che risulta iniqua nei confronti di imputati e detenuti; che confonde l’opinione pubblica, offende la morale comune, sfidando i limiti della tollerabilità dei singoli.
E allora, francamente indigna ipotizzare che in queste ore i giudici del tribunale di Sorveglianza di Bologna stanno decidendo se rispondere positivamente o meno alla richiesta avanzata dalla difesa di Anna Maria Franzoni di concedere alla mamma di Cogne, condannata per l’omicidio del figlio Samuele avvenuto il 30 gennaio 2002, gli arresti domiciliari e quindi aprire – per lei – le porte del carcere. O meglio, spalancare i portoni già dischiusi per lei dallo scorso ottobre, quando la “detenuta modello” è stata ammessa al lavoro esterno, concessione che ha fatto molto discutere e in virtù della quale, dal lunedì al venerdì, Anna Maria Franzoni va a confezionare borse in una coop sociale che si occupa del reinserimento dei detenuti. E dato che (forse) non era ancora abbastanza, a metà novembre, le era stato concesso in più un permesso di cinque giorni da trascorrere con la famiglia a Ripoli Santa Cristina, il paese dell’Appennino bolognese dove il marito Stefano è rimasto a vivere con i figli e chissà, in queste ore riuniti in attesa del responso sulla richiesta di «detenzione domiciliare speciale», ex art. 47 quinquies dell’Ordinamento penitenziario, ribadita ancora una volta dopo che già la Cassazione aveva accolto il ricorso della donna contro l’ordinanza della Sorveglianza bolognese che il 20 agosto 2012 le aveva negato l’istanza avanzata per la necessità di assistere il figlio, giudicandola «inammissibile» poiché la misura non può essere concessa a chi, come la Franzoni, oltre alla condanna ha avuto come pena accessoria la decadenza dalla potestà genitoriale. Un argomento a cui la difesa della mamma di Cogne ha opposto l’argomentazione secondo cui si tratterebbe non di decadenza dalla potestà, ma solo di sospensione, per il tempo di espiazione della pena. La Suprema Corte, allora, nel giugno scorso ha ritenuto che la decisione della Sorveglianza bolognese dovesse avvenire in contraddittorio tra le parti, alla presenza dell’avvocato della Franzoni. Ha quindi annullato senza rinvio il provvedimento, disponendo la trasmissione degli atti al tribunale per una nuova decisione. Decisione attesa, appunto, in queste fatidiche ore: decisive per l’imputata, condannata a 16 anni (tre coperti da indulto), e detenuta dal 2008. E ore decisive per la giustizia, in attesa a sua volta di riabilitare un’immagine offuscata in queste ore da verdetti che concedono ad Amanda Konx fama, ricchezza e impunità da godersi in tutta tranquillità a Seattle. A Raffaele Sollecito di rilassarsi a Santo Domingo, dove il settimanale Oggi, in edicola domani, lo ha immortalato in «spiaggia con un amico romano, ai tavolini di un bar con una bella dominicana, e abbracciato a un’altra ragazza nella notte». E ad Anna Maria Franzoni la possibilità (concreta o meno, lo sapremo a breve), di sperare di trascorrere in famiglia le feste natalizie. Con buona pace di detenuti reclusi e di liberi pensatori, alle prese quanto meno con il dubbio che, forse, non siamo proprio tutti uguali di fronte alla legge.