Censis: gli italiani sempre più poveri e infelici. Il futuro? È degli immigrati…

6 Dic 2013 14:11 - di Bianca Conte

“Italiani, bravi gente” recitava il titolo di un famoso film con cui il regista Giuseppe De Santis affrontava nel 1964, in epoca non sospetta, il tema dell’internazionalismo, della divisione per classi e non per etnie, dell’eroismo forzato, della solidarietà coatta tra poveri, anche di diversa nazionalità. Temi oggi, ahinoi, più attuali che mai, anche se il contesto non è quello bellico affrontato nella pellicola, e malgrado siano passati quasi cinquant’anni dall’uscita di quel film. O meglio, il contesto è bellico: ma la guerra da vincere è quella contro disoccupazione e precariato, contro il crollo del valore d’acquisto del denaro, contro una polarizzazione della realtà sociale in cui la linea di demarcazione tra ceti abbienti e classi disagiate è sempre più netta, e senza sfumature nel centro. Italiani, eroi dell’arte della sopravvivenza, comunque, che resistono strenuamente alla morsa della difficoltà, che oggi – e da qualche anno a questa parte ormai – si chiama crisi. Italiani ben lontani dal tirare un sospiro di sollievo, ma che hanno anche scongiurato il crollo.

Questa, allora, la fotografia sociale a cui rimanda il rapporto annuale del Censis presentato oggi: un’istantanea demoscopica che, tra percentuali e raffronti, rimanda proprio all’immagine di un Paese sull’orlo del baratro, che non è proprio più sul punto di sprofondarci dentro, e ha davanti segnato il travagliato cammino della ripresa. Il crack temuto non c’è stato, negli anni della recessione siamo sopravvissuti, ci dice l’indagine del Censis, ma ora abbiamo di fronte una società più «sciapa»: senza fermento, accidiosa, furba, con disabitudine al lavoro, immoralità diffusa, crescente evasione fiscale. E, naturalmente, aggravata dalla difficoltà a pagare le bollette e ad arrivare a fine mese: tutte condizioni che decretano ovviamente «malcontento», spesso addirittura infelicità, e che fanno sentire i più vittime di un profondo, quanto inatteso, radicamento delle diseguaglianze sociali. Una situazione di malessere vissuto in molti casi come endemica, e in cui l’unica nota di «sale» è rappresentata dall’imprenditoria femminile in crescita, dall’iniziativa degli stranieri – che ormai in quanto ad arte dell’arrangiarsi e originalità ci hanno superato, e di molto – e dalla dinamicità dei nostri connazionali all’estero. Così ci vede il Censis nella sua indagine annuale. Così siamo diventati se, come rileva il Rapporto 2013 sulla situazione sociale del Paese, su un campione di 1.200 famiglie «il 69% ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa»; se una famiglia su quattro fa fatica a pagare tasse o bollette, e il 70% è in difficoltà se deve affrontare una spesa imprevista; se in un quadro relativo al mondo del lavoro domina l’incertezza, con il 14% dei lavoratori che teme di perdere il posto. Un contesto desolante, in cui «sono quasi 6 milioni gli occupati che si trovano a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa», ai quali si aggiungono 4,3 milioni che non trovano un’occupazione. Con relativo boom di fughe all’estero, a fronte di una realtà demografica italiana in continua evoluzione. E allora, le previsioni del Censis preannunciano che gli immigrati anziani costituiscono sì una componente residuale della popolazione in Italia, ma anche che lo scenario è destinato a cambiare: se oggi sono poco più di 86 mila, nel 2020 diventeranno 315 mila, nel 2040 oltre un milione e mezzo e nel 2065 ai avvicineranno ai 3 milioni, cioè il 16,1% degli anziani in Italia. E nonostante oggi i numeri siano poco significativi, la crescita anagrafica della popolazione immigrata – avverte il Censis – sta già avendo due effetti sul welfare: in primo luogo, c’è una maggiore richiesta di servizi sociali; in secondo luogo, gli immigrati cominciano a comparire come beneficiari di titoli previdenziali. Segno dei tempi: e allora, oggi badanti, domani badati? Nei prossimi report la risposta…

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