Ciancimino junior condannato a tre anni. Era l’icona antimafia di Ingroia e Santoro

19 Nov 2013 20:49 - di Redazione

Tre anni di reclusione, 20 mila euro di multa e l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici per  Massimo Ciancimino. Dopo una breve camera di consiglio il gup di Palermo Daniela Cardamona lo ha condannato per detenzione e cessione di esplosivo. Già condannato a due anni e 8 mesi per avere riciclato i soldi sporchi del padre – parte della pena venne coperta dall’indulto che, dopo la condanna di oggi potrebbe venire meno -, inquisito dalle Procure di mezza Italia, veste, nel processo sulla trattativa Stato-mafia, i singolari panni di superteste e imputato. Reo confesso di avere fatto da postino tra il padre e il capomafia Bernardo Provenzano, si è ritrovato un’imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma non solo. Per avere manipolato dei documenti attribuiti all’ex sindaco deve rispondere anche di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. La vicenda dell’esplosivo nasce dal ritrovamento, il 22 aprile del 2011, sepolto nel giardino di casa di Ciancimino, di un grosso quantitativo di esplosivo. Fu lo stesso imputato a segnalarne la presenza agli investigatori che erano andati ad arrestarlo proprio per la calunnia di De Gennaro. Alla Procura il superteste raccontò di averlo ricevuto da un fantomatico personaggio che voleva minacciarlo e impedirgli di continuare la collaborazione con i pm nell’inchiesta sul patto tra pezzi delle istituzioni e boss. Le videocamere piazzate davanti alla abitazione, nel centro di Palermo, lo smentirono. E Ciancimino fu costretto a rettificare: sostenne allora che mister x gli aveva dato la dinamite a Bologna, dove l’imputato risiedeva temporaneamente e di essersela portata a Palermo in auto. Ciancimino all’epoca era scortato – aveva denunciato altre minacce – quindi avrebbe viaggiato per mezza Italia sulla sua auto privata carica di dinamite, seguito da ignari agenti sulla macchina di servizio. Giunto in città avrebbe bagnato i candelotti per disinnescarli e li avrebbe sotterrati senza dir nulla a nessuno. Tranne a un amico, Giuseppe Avara, oggi condannato a due anni, che ricevette parte dell’esplosivo e se ne disfece buttandolo in un cassonetto. Un racconto pieno di contraddizioni, quello del teste, che non ha mai fatto veramente chiarezza sulla provenienza della dinamite.

«Per essere un giudizio emesso con rito abbreviato – ha commentato Maurizio Gasparri – ne hanno impiegato di tempo i giudici di Palermo a condannare Ciancimino Junior. Che non fosse “normale” per il figlio di un boss la detenzione di esplosivo in casa propria lo avevamo detto da subito, ma sono passati oltre due anni prima che la magistratura lo giudicasse. Intanto, sottolinea l’esponente di Forza Italia-Pdl, «notiamo il silenzio dei vari Santoro, Ruotolo e Ingroia che fecero di Ciancimino un’icona antimafia. Preferiscono evidentemente evitare l’ennesima figuraccia. In ogni caso non ci resta che osservare che per il sistema giustizia italiano anche i tempi di giudizio sembrano essere ancora una volta ad personam».

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