Caso Cancellieri: sarà il Pd a dare il colpo di grazia al ministro della Giustizia?

18 Nov 2013 10:30 - di Bianca Conte

È il Pd ad alimentare la fronda contro il ministro della Giustizia? Ciò che si muove attorno alla mozione di sfiducia  al Guardasigilli rischia di infliggere il colpo di grazia al Pd? Quel che è certo è che scricchiola la blindatura che il governo Letta ha allestito sin dalle prime ore dell’esplosione del “caso Cancellieri”. L’affondo dei due candidati alla segretaria del partito democratico, Pippo Civati e Matteo Renzi, lascia pochi margini di manovra e, se possibile, una volta di più evidenzia, più che le crepe presenti nel muro di difesa eretto dall’esecutivo intorno al Guardasigilli, la voragine che mina la stabilità della struttura interna di largo del Nazareno. Stretti nel vicolo cieco al crocevia tra l’impossibile adesione alla mozione di sfiducia dei grillini e la dispersione in mille rivoli del sostegno al ministro, i democrat sono chiamati ora a scegliere tra la mozione annunciata dal suo blog dal candidato segretario del Pd, Pippo Civati, e il favorito alla scalata del vertice del partito, Matteo Renzi che insiste dal primo momento con le dimissioni sic et simpliciter; nel mezzo, la lite in piena campagna congressuale tra Civati e Fassina. Quest’ultimo, dopo le prime diplomatiche sospensioni di giudizio, sceso apertamente in campo con un richiamo all’unità democrat che suona più come una tirata d’orecchio contro la propaganda auto-promozionale, che come un ecumenico invito alla collegialità partitica.

Così, a Fassina che bacchetta a distanza, Civati replica sparando nel mucchio e invitando alla «coerenza» i colleghi in corsa con lui alla segreteria del Pd, tanto da affermare in due interviste, alla Stampa e al Secolo XIX, che «tutti, da Renzi a Pittella e a Cuperlo, sono d’accordo con me che il ministro di Giustizia dovrebbe fare un passo indietro», rispedendo al mittente «comportamenti ipocriti». E ricordando inoltre, il candidato segretario, che la «Cancellieri ha sempre detto che nel caso in cui si fosse accorta del venire meno della fiducia di un partito della maggioranza, ne avrebbe tratto le conseguenze», chiosando dunque, conseguentemente, con un aut aut: «Se martedì saranno raccolte le 60 firme in calce alla mia mozione di sfiducia – ha ribadito Civati – allora il ministro dovrebbe fare un passo indietro», premurandosi di sottolineare nelle note a piè di testo della sua accesa requisitoria che «sfiduciare il Guardasigilli, non significa sfiduciare il governo Letta».

Di contro, o meglio, su una sponda che guarda all’equidistanza impossibile, Gianni Cuperlo ripete che saranno premier e Guardasigilli a fare le valutazioni necessarie: «Ascolteremo, poi riuniremo i gruppi e decideremo. Su vicende così delicate non si procede in ordine sparso». Un invito all’unità viene rilanciato anche dalla presidente della Regione Friuli Venezia-Giulia Debora Serracchiani che, intervistata da Repubblica ha dichiarato: «Non si può liquidare la cosa con una blindatura. È assolutamente utile e necessario che anche Letta si confronti con il Pd, perché la sfiducia mercoledì arriverà a Montecitorio, e una posizione bisogna averla». E in questo decuplicarsi di proposte e repliche, inviti e richieste di esonero, esortazione all’unità e spaccatura verticali, spicca la posizione attendista di Annamaria Cancellieri, che dal suo Aventino di silenzio mediatico, punterebbe ad affrontare il dibattito sulla mozione di sfiducia proprio mercoledì alla Camera, pur consapevole che nelle prossime ore, costretto all’angolo, il premier Letta potrebbe chiederle di fare il fatidico passo indietro. Del resto, non sono solo gli esponenti del partito democratico a spingerla verso questa direzione, ma anche i socialisti, i Cinquestelle, Sel e la Destra di Storace.

 

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