Beati i tecnici: sono immuni da responsabilità e non fanno scandalo

1 Nov 2013 20:43 - di Oreste Martino

Il caso del ministro Annamaria Cancellieri e dell’intervento a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti ripropone il tema della responsabilità che deve assumersi chi riveste importanti ruoli pubblici. E nel riproporre questa questione segna la grande differenza che c’è tra politici e tecnici. Ogni qual volta l’Italia si trova ad attraversare un momento difficile si fa riferimento all’esigenza di dar vita ad un governo tecnico e questo è accaduto in particolare negli ultimi venti anni con Carlo Azeglio Ciampi, Dini e Monti. Ma anche con il governo delle larghe intese guidate da Enrico Letta, che per giustificare l’abbraccio tra Pd e Pdl ha imbarcato un po’ di ministri tecnici.

La vicenda in questione dimostra che quando sono i politici al governo sono sempre sottoposti ad un giudizio severo e ad una assunzione di responsabilità che può portarli alle dimissioni – giustamente – per un nonnulla. Si dà per scontato che il politico debba vivere in una casa di vetro, sempre sotto il controllo e il giudizio dell’opinione pubblica e che qualsiasi suo sbaglio debba essere punito con l’assunzione di responsabilità che passa per le dimissioni dall’incarico.

I tecnici, invece, vivono l’esperienza ministeriale come quella passata di baroni accademici o di alti burocrati, immuni da giudizi e responsabilità. Ed è proprio questo atteggiamento ad aver portato il guardasigilli Cancellieri a fare l’intervento a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti che adesso sta creando un vero e proprio scandalo. Va detto, ovviamente, che la carcerazione della figlia dell’ingegnere siculo-milanese era certamente una scelta forte della magistratura e che subito la detenuta si era mostrata fragile e forse incompatibile con il sistema carcerario, mettendo a rischio la sua salute con il rifiuto del cibo. Va detto anche che l’analisi documentale dei fatti dimostra che l’interessamento della Cancellieri non ha avuto alcuna influenza sulla decisione della procura di Torino di acconsentire alla misura degli arresti domiciliari, presa soltanto dopo una perizia medica inequivocabile e dopo che Giulia Ligresti aveva deciso di patteggiare scendendo ad un compromesso utile e vantaggioso per la stessa procura piemontese.

Il problema non è quindi il caso di Giulia Ligresti, che forse non meritava il carcere e che certamente meritava la scarcerazione, ma della differenza di giudizio verso ministri tecnici e ministri politici. Se fosse stato un ministro politico a dire al telefono allo zio di un detenuto che si stava adoperando per la scarcerazione e che riteneva ingiusto l’arresto e che era a disposizione per qualsiasi cosa sarebbe stato linciato dalla stampa e costretto alle dimissioni in poche ore con pressioni provenienti da tutti, a partire dal suo partito. Essendo un burocrate chiamato a fare il ministro, invece, la Cancellieri ha l’opportunità di spiegarsi, di dire che il suo è stato un intervento umanitario, che conosce la famiglia Ligresti da tanti anni e che era doveroso segnalare all’amministrazione carceraria il caso di una detenuta che rifiuta il cibo.

Se a questo aggiungiamo che il figlio della Cancellieri ha fatto il direttore generale della compagnia di assicurazione dei Ligresti, guadagnando in appena quindici mesi quasi cinque milioni di euro, il caso imbarazzante diventa un vero e proprio scandalo. Se al ministero di via Arenula ci fosse stato un politico con figlio milionario grazie alla famiglia del detenuto arrestato avrebbe visto finire immediatamente la sua carriera, mentre nel caso in esame c’è ancora chi giustifica la Cancellieri e la difende dinanzi alle richieste di dimissioni che al momento giungono soltanto da Beppe Grillo e dal quotidiano la Repubblica.

Preso atto che ciclicamente in Italia si ricorre ai tecnici per esautorare la politica, andrebbe almeno garantito che i burocrati divenuti ministri siano chiamati allo stesso senso di responsabilità dei politici e questo dovrebbe spingere la Cancellieri a lasciare il suo posto per motivi di opportunità, come farebbe qualsiasi politico anche per un gesto meno imbarazzante di quello del guardasigilli.

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