Al Festival di Roma un ritratto della Romania comunista di Ceausescu: spioni, minacce e traditori…
Una società apparentemente meno restrittiva di altri regimi comunisti, ma in realtà ugualmente paranoica e ossessionata dal controllo in ogni aspetto della vita quotidiana degli individui. È il ritratto della Romania di Ceausescu, filmata in bianco e nero, che emerge da Quod Erat Demonstrandum di Andrei Gruzsniczki, in concorso al Festival internazionale del Film di Roma, dove si candida autorevolmente a un premio, vista l’accoglienza in sala. Gruzsniczki riesce a fondere il film di denuncia con una storia intima e familiare. Nella Romania del 1984, Sorin (Sorin Leoveanu), brillante matematico, non sentendosi abbastanza apprezzato in patria, decide di far pubblicare una sua ricerca su una rivista americana, senza l’approvazione delle autorità. Un gesto che scatena controlli e pressioni sempre più asfissianti da parte della Securitate, attraverso Alecu (Florin Piersic Jr), funzionario tanto freddo quanto efficiente. Diventa bersaglio del “Grande Fratello” romeno anche Elena (Ofelia Popii), collega di Sorin, di cui lui è infatuato. La donna però pensa solo a come raggiungere, con il figlio, il marito, che approfittando di un viaggio di lavoro in Francia, è rimasto là come rifugiato politico. La spirale di “cortesi” minacce in cui finiscono i personaggi, porta a tradimenti, silenzi e scelte sempre più difficili. «In ogni tipo di società esistono delle costrizioni – spiega Gruzsniczki nelle note di regia – e queste generano compromessi, che possono essere accettati oppure no. Il tradimento, inteso come forma di compromesso, non appartiene a una specifica società. Sempre e ovunque, l’essere umano vuole una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Ma a quale prezzo? Carriera, sentimenti, libertà, tutto è in gioco… Il fatto che la storia si svolga durante il comunismo, spero sia compreso come un elemento particolare ma non definitivo. Da questo particolare possiamo trovare una verità universale».