L’Iva sale al 22%. Benzina più cara, consumatori in allarme, il made in Italy rischia grosso
È scattato oggi 1 ottobre l’aumento dell’Iva al 22%. L’effetto si ripercuote sulla rete carburanti con aumenti dell’ordine di 1,5 cent a litro sulla benzina, 1,4 sul diesel e 0,7 sul Gpl. Il ritocco dei prezzi riguarda vari settori, dalle scarpe ai frigoriferi, dai cosmetici alla parcella degli avvocati, dalle auto ai detersivi, dal vino al caffè. Si salvano invece la maggior parte degli alimentari anche se, con il rincaro dei carburanti, si rischia nei prossimi mesi un effetto di aumenti a cascata.
Secondo la Cgia di Mestre a subire l’aggravio più pesante “saranno gli acquisti dei prodotti made in Italy che costituiscono l’asse portante del nostro manifatturiero”. Per la Coldiretti l’aumento, ripercuotendosi sul potere d’acquisto degli italiani, rischia di alimentare la spirale recessiva. L’aumento, per il presidente di Confcommercio Sangalli, è una “misura depressiva” che va cancellata. Ma non c’è solo la questione dell’Iva sul tavolo del governo su cui pende la spada di Damocle della sfiducia. Si riapre anche il capitolo Imu, visto che la cancellazione della tassa dev’essere convertita in legge. Un passaggio sul quale il Pd, da sempre sfavorevole al superamento dell’imposta, già mette le mani avanti: senza service tax (l’imposta sostitutiva dell’Imu) il Parlamento può modificare tutto. Appuntamento ineludibile resta poi quello della legge di stabilità e della manovrina correttiva che dovrà far rientrare il rapporto deficit-Pil sotto il tetto del 3% richiesto dai patti Ue. Una correzione che, secondo il ministro dell’Economia Saccomanni, dev’essere fatta anche da un governo dimissionario. E proprio Saccomanni in queste ore sta lanciando messaggi di rassicurazione ai mercati: non a caso proprio il suo è il nome che circola di più tra i possibili successori di Enrico Letta per un governo di scopo che traghetti il paese verso elezioni tenendo però sotto controllo i conti.