Il dramma “lontano” che non fa notizia: 35 migranti (anche donne e bambini) morti di sete nel deserto del Niger
L’altra faccia dell’immigrazione. Quella che fa meno notizia di un naufragio al largo del canale di Sicilia, perché più lontana da noi e dal nostro coinvolgimento, geografico e morale. L’altra faccia dell’immigrazione, quella che attraversa i confini della disperazione a bordo di cargo stipati di uomini ammassati come animali in gabbia, di donne e bambini accalcati in antri impossibili, ma che caronti spietati non possono abbandonare in mezzo ai flutti a un destino di morte sicura. L’altra faccia dell’immigrazione: quella che non ha l’Europa come terra promessa, e dove il nuovo Eldorado da conquistare è la più vicina Algeria, ormai sotto assedio di migliaia di subsahariani che sperano solo nella solidarietà alla quale l’Islam obbliga i buoni musulmani. Questa volta, insomma, non è una tragedia del mare – del nostro mare – quella che ha inghiottito nel vortice della disperazione 35 migranti che hanno visto trasformare, in poche ore, il sogno di una vita migliore nell’incubo dell’agonia nel deserto del Niger, dove sono morti di sete. L’altra faccia dell’immigrazione, dove non si muore affogati, ma per mancanza d’acqua, uccisi dalla sete e dal sole mentre si prova a sfidare uno dei territori più ostili del pianeta per raggiungere il miraggio dell’Algeria. Una tragedia che si è consumata qualche giorno fa e che solo oggi si è conclamata in tutto il suo orrore. La vicenda di questi morti – il loro numero è ancora incerto, vista la frammentarietà delle notizie – è lo sconcertante epilogo di esistenze al limite della sopravvivenza: il Niger è uno dei Paesi più poveri ed inospitali della Terra, e chi può, o chi riesce cerca di fuggire. Sono in tanti a tentare la fortuna e, in buona percentuale, quando va bene e gli sventurati in marcia riescono ad arrivare in Algeria, spesso vengono scoperti e riportati alla frontiera. I sessanta migranti protagonisti di quest’ultima tragedia della disperazione – per lo più donne con figli al seguito – venivano da alcuni villaggi rurali nigerini, e insieme hanno deciso di provarci comunque, a dispetto di tutto, rischi letali e possibili rimpatri compresi. Hanno preso a noleggio due camion e vi si sono ammassati, partendo da Arlit, l’ultimo grande centro nigerino prima del lontano confine algerino. I camion si sono messi in marcia a metà ottobre, lasciandosi alle spalle l’incombente presenza rocciosa delle montagne dell’Air, e lo spettro della povertà senza rimedio. Ma lungo le piste nel deserto d’arenaria, lontani dal punto di partenza e ancor di più distanti dalla destinazione finale, uno dei due camion si è bloccato per un guasto. Non c’erano molte possibilità di scelta: l’altro automezzo ha fatto la strada inversa per cercare di trovare da qualche parte i pezzi di ricambio, lasciando i migranti in mezzo al nulla, in un inferno che per una volta non spalancava l’orrore sugli abissi marini, ma sulle sterminate distese di sabbia. Poi l’acqua ha cominciato a scarseggiare, fino all’esaurimento delle scorte, e i migranti hanno deciso di mettersi in cammino a piedi, nella speranza di raggiungere un’oasi. Ma la mancanza d’acqua e il sole cocente li hanno inghiottiti senza lasciare scampo. Solo 19 di loro, grazie a passaggi di fortuna, sono riusciti a tornare ad Arlit e a dare l’allarme, ma era troppo tardi: alle pattuglie dell’esercito non è rimasto che raccogliere i corpi.