Chi sperava nella “scossa” si è già ricreduto. Ora c’è rassegnazione e indifferenza

25 Ott 2013 18:13 - di Silvano Moffa

Il Paese mostra evidenti segni di stanchezza. Una stanchezza unita a rassegnazione e indifferenza. Il male peggiore. La verità  è che avremmo bisogno di una qualche reattività, di quel piglio spontaneo che non è mai mancato quando ci siamo trovati a un  tornante della storia. Ora, invece, tutto fila via, in un rincorrersi di eventi tutti interni alla forze politiche in campo, senza il respiro di qualcosa che porti le stimmate della novità: una sorta di palingenesi del pensiero e dell’azione che, per spessore e profondità, faccia intravedere un po’ di originalità e  un ché di confortante nel futuro che si proietta innanzi. È vero che la stagione politica che viviamo è figlia di un risultato elettorale zoppo e sconnesso; che, numeri alla mano, non c’era altro da fare che dar vita ad un governo come quello delle “larghe intese”,  tra Pd, Pdl e Scelta Civica, per cercare di ottemperare al minimo sindacale; ossia, mettere mano alla riforma elettorale, tenerci al riparo dalle speculazioni finanziarie, che hanno squassato nel profondo le economie nazionali, e tentare di  varare le riforme istituzionali di cui discutiamo inutilmente da decenni. Siamo, purtroppo, ancora in attesa di cogliere i frutti di un tale impegno. Chi si illudeva che da un governo siffatto potesse arrivare la  tanto attesa “scossa” per rianimare il Paese, e rimetterlo in marcia nelle sue realtà produttive, si è dovuto ben presto ricredere. I dati economici  sono sconfortanti. La recessione non si arresta. Nonostante la buona tenuta delle esportazioni, il consumo è bloccato ad  indici negativi;  la disoccupazione , soprattutto giovanile, aumenta e il tessuto produttivo continua a slabbrarsi. Ci sono, come è naturale, le eccezioni positive. Ma esse sono talmente rare che impallidiscono di fronte allo spettacolo indecoroso dei marchi storici che trasmigrano e dello shopping indigesto, cui le multinazionali estere stanno sottoponendo intere filiere, strategiche e non, del manifatturiero italiano. Eppure, le condizioni per riprenderci ci sarebbero, eccome. Sarebbe bastato metter in campo una manovra un po’ più ambiziosa e meno debole. Sono considerazioni che abbiamo  fatto più volte.  Ricordando, ad esempio, l’importanza di agire decisamente sul versante della spesa, al fine di reperire le risorse indispensabili per favorire la crescita. Se si pensa che  i soli sprechi negli acquisti pubblici di beni e servizi ammontano al 2% del Pil, rispetto a una spesa totale che si aggira intorno al 9% del Pil, c’è materia abbondante su cui riflettere. Si badi, il 2%, secondo calcoli  recenti, è del tutto parziale. Bisogna aggiungervi almeno  un altro 1% di Pil (che porta il totale degli sprechi al 3%), ove nella misura si contemplino gli sprechi dovuti ad acquisti inutili o quelli che derivano dal mancato controllo dell’esecuzione dei contratti di servizio e lavori pubblici. Questo è solo un esempio di dove reperire le risorse necessarie, senza dover infierire fiscalmente. Potremmo continuare nell’elencare ambiti non sondati e settori nei quali, con un po’ di coraggio,  si potrebbe incidere per modellare uno stato sociale più concreto e moderno, oppure scovare i capitali necessari per agevolare le imprese che innovano, facilitare l’imprenditorialità giovanile, premiare la creatività e il talento. Il fatto è che  siamo ridotti in una condizione incapacitante. Compressi, schiacciati da una politica inconcludente e , spesso ,  dannosa. Con i suoi  riti ripetitivi, le sue incongruenze, le astiosità divisive che stanno facendo saltare quel  che è rimasto dei partiti nel nostro Paese, con  il rancore corrosivo che attanaglia molti protagonisti di un ceto politico sganciato in gran parte da ogni etica della responsabilità (verso i cittadini e le istituzioni, innanzitutto),  con un tatticismo ormai portato all’esasperazione; con tutto questo ed altro ancora, si stanno dissolvendo le residue possibilità di tenuta dell’intero Paese. Non siamo così ingenui dal non comprendere che le partite che si stanno svolgendo, con le acrimonie che sappiamo, all’interno del Pd e del Pdl  (Scelta Civica , da parte sua ,  è già andata in frantumi), hanno rilievo e importanza, non fosse altro che per le inevitabili ricadute  che avranno sul governo (e quindi anche in termini di chiusura anzitempo della legislatura). Nessuno dei contendenti, però, su entrambi i fronti dello schieramento, ora raggruppato nelle larghe intese, sembra cogliere più di tanto il malessere che serpeggia nel Paese. Quella  stanchezza, appunto, di chi non si fa più abbagliare dai troppi dibattiti televisivi, omologati in un unico cliché . Si gareggia, in queste virtuali e improbabili agorà del tubo catodico, nel mostrare la disperazione di chi scopre che la vita, per sé e per i propri cari,  si è maledettamente complicata; di chi non riesce a  declinare il futuro per i propri figli,immersi come siamo nella incertezza e  nella precarietà. Ed ogni volta, il conduttore mette in imbarazzo l’ospite politico di turno,  né quest’ultimo,il più delle volte, offre spiegazioni convincenti e soluzioni adeguate,  all’altezza delle domande. Ecco, di questo malessere diffuso, sembra che non ci sia ancora  sufficiente consapevolezza. Non perché non si sappia che esista, evidentemente. Sarebbe sciocco immaginarlo. Ma perché questo “sapere”, questa conoscenza della sofferenza profonda che attraversa orizzontalmente  la società italiana nel suo complesso, sembra dissiparsi quando dalle analisi si è chiamati alla  traduzione concreta ed operativa delle “cose” da fare . È il sintomo evidente della mancanza di un Progetto. Il guaio è che, intanto, il tempo scorre . Inesorabilmente.

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