Barack Obama isolato cerca i numeri del Congresso per i raid in Siria. Ma la sua è una corsa contro il tempo
Barack Obama è chiamato a un’impresa titanica: convincere in pochi giorni milioni di americani, tuttora scettici se non apertamente contrari, sulla necessità dei raid in Siria. Al momento, sondaggi alla mano, i favorevoli all’intervento sono fermi tra il 20 e il 30% dell’opinione pubblica. E con questi numeri, difficilmente il “Commader in Chief” incasserà il via libera del Congressodove nessuno è disposto a chiudere la propria carriera politica per una crisi che è lontana dalla sensibilità loro e soprattutto dei loro elettori. Molti parlamentari raccontano che le loro caselle email e i loro centralini sono intasati da messaggi contrari all’attacco contro Assad. Insomma, per Obama è una corsa contro il tempo: al momento, come scrive Politico.com, la risoluzione non avrebbe infatti i voti sufficienti per essere approvata. Malgrado i lavori del G20, lo stesso presidente si sta dando da fare, chiamando personalmente da San Pietroburgo cinque suoi ex colleghi senatori pur di convincerli a votare sì. Poi, probabilmente prima del voto al Senato, terrà un discorso alla Nazione decisivo per il suo secondo mandato. Dallo Studio Ovale, Obama tenterà di guardare negli occhi quel Paese che lo ha mandato due volte alla Casa Bianca, chiedendo a tutti che stavolta non è come l’Iraq. Che nessuno vuole sprofondare in un nuovo pantano senza sbocchi, costoso in termini di vite umane e per le casse dello Stato. Punterà sull’orgoglio nazionale, sull’eccezionalità di un Paese che, come ha detto a Stoccolma, ha delle responsabilità in più, ha il destino di farsi carico del rispetto della legge, delle regole, della difesa della democrazia e della libertà ovunque nel mondo. «Ogni volta che c’è una crisi in ogni angolo del pianeta tutti si chiedono “cosa fa l’America?”», ha detto mercoledì amaro, quasi rassegnato. Dovrà uscire dall’angolo, dall’isolamento internazionale, e chiedere una nuova guerra, seppur limitata nel tempo. Un compito decisamente arduo per un leader che ha fatto della discontinuità, dal “cambio” e della “speranza” rispetto al passato, ai tempi bui di George W. Bush, le sue parole d’ordine. Inoltre, ironia della sorte, sarà costretto a combattere la sua battaglia propagandistica nei giorni attorno all’11 settembre, una data che ogni anno suscita in America emozioni profonde. Non è un caso che la destra abbia notato questa coincidenza.