Se critichi un magistrato vai all’inferno. Per il comandamento: “Non avrai altra toga all’infuori di me”

23 Ago 2013 15:15 - di Girolamo Fragalà

Sarebbe fin troppo facile rinfrescare le idee alla sinistra – che non ha memoria neppure della sua storia – ricordando le parole di Piero Calamandrei: «Al giudice occorre più coraggio ad essere giusto apparendo ingiusto, che ad essere ingiusto apparendo giusto». Di questo concetto non è rimasta traccia, si è passati dalla giustizia vera alla giustizia spettacolo per finire alla casta degli “intoccabili”. Perché oggi sembra che criticare la magistratura sia una bestemmia, si finisce all’inferno in nome del nuovo comandamento Non avrai altra toga all’infuori di me. Sono tutti peccatori, dai giornalisti che osano avere qualche dubbio sull’operato dei tribunali alle gente comune che protesta perché un delinquente, dopo essere stato rimesso in libertà troppo frettolosamente, ha molestato due ragazzine. Ogni qualvolta si critica un “intoccabile” c’è la reazione del sindacato delle toghe e l’indignazione della sinistra. Non è colpa di nessuno se la telefonata di Antonio Esposito, l’uomo che ha “condannato” il Cav, ha fatto il giro del mondo provocando ironie e feroci critiche. Erano prevedibili anche le conseguenze, i vabbuò diventati tormentone dell’estate e tutto il resto.  L’Anm però si è messa subito in trincea e ha parlato di «linciaggio mediatico» attuato per «neutralizzare la sentenza Mediaset», «il susseguirsi di articoli di stampa e di servizi televisivi contenenti gravi offese a singoli magistrati e inaccettabili attacchi all’intero ordine giudiziario». Non è la prima volta che il sindacato delle toghe agisce così. Anzi, è un’abitudine. Nessuna parola, però, l’Anm ha detto in altre occasioni, quando ad esempio fiumi di intercettazioni venivano passate ai giornali (da chi?) facendo entrare chiunque nelle vicende più intime di alcuni personaggi, in particolare di Berlusconi. Tranne una volta, naturalmente: l’unica intercettazione “punita” con condanna è stata quella dell’«abbiamo una banca» di Fassino. Ma non è solo questo. Sarà pur lecito porsi qualche interrogativo sui magistrati nel momento in cui a Berlusconi viene inflitta una condanna a 7 anni mentre 6 anni sono stati dati a un uomo che aveva abusato sessualmente di una bambina e 8 anni a Michele Misseri per la sparizione del cadavere di Sarah Scazzi. Tralasciando la politica, sarà stato altrettanto lecito porsi qualche interrogativo sulla vicenda di Angelo Izzo, il “mostro” del Circeo, che nel 2004 ottenne la semilibertà dal carcere di Campobasso, su disposizione dei giudici di Palermo e poco dopo uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano. Avranno poi diritto i giornalisti e i cittadini di avere perplessità sul Tar del Lazio quando decise di sospendere l’azione del Campidoglio (nella stagione di Alemanno) che aveva allontanato una coppia di nomadi, nullatenenti per il fisco ma in realtà milionari, che abitavano in un campo attrezzato del Comune di Roma. E di esempi del genere è possibile elencarne a centinaia. Per non parlare dei dubbi che vengono quando si leggono i nomi di tanti giudici che finiscono nelle liste del centrosinistra o che addirittura fondano partiti (di sinistra). Ci chiediamo se sia lecito avere qualche sospetto che ci sia faziosità. E se è consentito avanzare qualche critica senza essere accusati di “linciaggio mediatico” costruito per delegittimare le toghe. E soprattutto ci chiediamo se – dopo aver avanzato le critiche – si è destinati a finire tra le fiamme dell’inferno, alla mercé del diavolo.

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